Don’t Worry Darling, secondo film da regista di Olivia Wilde, è stato presentato Fuori Concorso alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il plot narra la vita dei giovani coniugi Alice e Jack (interpretati rispettivamente da Florence Pugh e da Harry Styles), ambientata nei favolosi anni ’50.
Jack lavora presso il centro di ricerca “Victory Project” e la loro casa è situata nell’omonima cittadina, costruita in prossimità del centro proprio per ospitare le famiglie dei dipendenti. Una vita apparentemente perfetta, una routine schematizzata e standardizzata ad immagine dall’amministratore delegato Frank (interpretato da Chris Pine) che, oltre a essere un visionario capitano d’industria, è anche la guida spirituale della comunità, un “guru” che affascina e allo stesso tempo condiziona l’esistenza di tutti gli abitanti della cittadina.
Ma quando nella vita idilliaca di Alice e Jack iniziano ad apparire delle crepe abbastanza inquietanti, mostrando sprazzi di qualcosa di particolarmente sinistro che si nasconde sotto quella facciata attraente, Alice si ritrova costretta a chiedersi esattamente non solo cosa ci faccia esattamente a Victory, e perché, ma anche quanto sia disposta a sacrificar per svelare ciò che sta realmente accadendo in quella sorta di “paradiso terrestre”…
L’esordio registico della Wilde, la commedia low budget La rivincita delle sfigate – Booksmart (2019), era stato ben accolto dalla critica e dal pubblico; un piccolo film ben scritto e ben diretto. Alla seconda prova dietro la macchina da presa, invece, la regista e attrice sembra perdere il filo conduttore dell’intera narrazione.
In Don’t Worry Darling, la regia è abbastanza equilibrata ed efficace, dando vita a immagini visionarie che inquadrano la mente umana come un labirinto pericoloso e complesso, e scene che riescono a sortire un effetto disturbante sullo spettatore (come quella di Alice che cerca di soffocarsi con del cellophane o quella, sempre della protagonista, davanti ad uno specchio che, separandola dalla realtà, arriva quasi a schiacciarla).
Al contrario, la sceneggiatura (opera di Katie Silberman) è molto confusa, quasi banale, con una scarsa caratterizzazione dei personaggi secondari. Ci sono le idee, ma vengono sviluppate in maniera fin troppo veloce e sbrigativa, con pochissima efficacia, dando vita ad un quadro filmico che non riesce mai a convincere veramente. Inoltre, è impossibile non pensare, durante la visione, a La fabbrica delle mogli (1975) e al suo remake del 2004 (La donna perfetta), così come diversi sono gli omaggi a numerosi film cult degli anni ’90 (su tutti The Truman Show e Matrix) e a diverse operazioni del presente ben più esaltanti (come ad esempio Black Mirror), che non fanno altro che sottolineare quanto il film sia poco originale e per nulla riuscito.
Don’t Worry Darling, Is This the Real Life? Is This Just Fantasy?
La fotografia di Matthew Labatique (collaboratore abituale di Darren Aronofsky e Premio Oscar per Il cigno nero) è in grado di creare una rappresentazione molto accurata di uno spaccato ben preciso dell’America degli anni ’50: colori molto accesi, infatti, si alternano a effetti particolarmente scuri, che tuttavia non riescono a salvare il film.
Una nota positiva è sicuramente l’interpretazione di Florence Pugh (Midsommar, Piccole donne, Black Widow), che porta sulle proprie spalle l’intero peso dello script: una recitazione intensa, affascinante e sensuale, che buca letteralmente lo schermo; al contrario di Harry Styles (al suo primo vero ruolo da protagonista, in attesa di vederlo in My Policeman), estremamente sopra le righe, poco espressivo e convincente. Per quanto riguarda gli altri personaggi, nessuno riesce davvero a trovare spazio nello sviluppo della trama (come il “villain” di Chris Pine o il personaggio di sua moglie, interpretata da Gemma Chan), figuranti senza né anima né verve che finiscono con l’essere abbandonati a sé stessi.
Don’t Worry Darling pecca di personalità: un film ricco di idee che rimangono però in superficie, senza una dovuta, necessaria e approfondita analisi dell’idea centrale alla base della sceneggiatura. Un film incompiuto e confuso, che riflette la mano propositiva ma al tempo stesso insicura ed acerba della sua regista, che vorrebbe imbastire una critica alla società contemporanea senza riuscirci, scadendo nella retorica più bieca. Un progetto sicuramente ambizioso, che però non lascia alcuna traccia nello spettatore, se non una sensazione di profonda e amara delusione.
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