Parlare di Wish è parlare di numeri. Il primo, non necessariamente il più importante, è il numero sessantadue: Wish è il 62esimo classico d’animazione Disney. Diretto da Chris Buck (Frozen e Frozen II) e Fawn Veerasunthorn (Raya e l’ultimo drago), voci italiane di Gaia, Amadeus e Michele Riondino, nelle sale italiane arriva in tempo per Natale, il 21 dicembre.
La storia – ironizzando un po’ si potrebbe suggerire l’origin story – è quella della stella dei desideri, tanto centrale nell’iconografia della major e a volte presente in alcune delle sue storie più famose. Non è un caso che il film, costruito attorno a un elemento così importante nel retaggio della Disney, arrivi proprio quest’anno. Ecco il secondo numero. Quello che spiega molte cose: il numero cento.
Centenario della Disney, 1923-2023, responsabilità ulteriore per un film che, come è tradizione per la casa madre – va molto di moda al cinema, oggi – vive due volte. La prima volta, esprimendo il valore artistico/estetico/sentimentale di una storia perfettamente soddisfatta di sé, autonoma; la seconda, ammiccando ai temi e ai sentimenti che definiscono l’immaginario Disney, portandone avanti il discorso, innovando dove è possibile ma senza prendere troppo di petto la tradizione.
C’è un modo consolidato di fare breccia nel cuore di generazioni di spettatori, paga da un secolo e non vale la pena di rischiare pericolose alchimie. Ora, vi capitasse di chiedere a qualche pezzo grosso della Disney qual è il desiderio per quest’anno, magari nicchierebbe. In privato vi risponderebbe, con più sincerità: “che Wish riporti la gente al cinema”. Perché in sala, a vedere un classico Disney, ci vanno in molti meno di prima. Soprattutto le famiglie si tirano indietro. Di chi è la colpa?

Una fiaba antica e moderna a un tempo
Wish comincia come i classici di una volta, con le pagine di un libro che si aprono alla curiosità dello spettatore e la fiaba che inizia. Moderna, la fiaba, in termini di rappresentazione, dinamiche emotive, caratterizzazione psicologica e indagine sui moventi. Il trucco del film – è il gioco della Disney in questi ultimi anni – consiste nel riposizionarsi presso il pubblico di tutte le età, svecchiando gli ingredienti ma senza alterare il sapore. Mix di vecchio e nuovo, l’equilibrio più auspicabile, anche il più complesso.
Ha funzionato bene con Encanto (2021), ma su Disney+ e non in sala, complice lo spauracchio della pandemia. Meno bene (molto meno!) con Strange World – Un mondo misterioso (2022), che si affacciava timidamente su un mercato in ripresa ma che proprio non è andato. Ora è il turno di Wish, che parte con una spinta più forte (il centenario, l’ambientazione e la trama), forse perché la Disney ora sa che la scelta di privilegiare lo streaming sulla sala anche oltre le legittime preoccupazioni di salute pubblica, è stata presa dal pubblico troppo sul serio. E il cinema serve, non fosse che per una questione meramente economica. Certi sogni hanno bisogno di cornici adeguate.
Molti sogni, molti desideri, sono raccolti a Rosas. È un’isoletta del Mar Mediterraneo, vicina alle coste spagnole, forse, creata dal Re Magnifico (la voce è quella di Michele Riondino) per offrire riparo a chi ne ha bisogno. Il Re tende le braccia a tutti, a una condizione: che chi arrivi consegni il sogno che gli è più caro, dimenticandosene. Sarà proprio Magnifico a prendersene cura, conservandolo nell’archivio del suo palazzo. A turno, una volta al mese, il Re realizza un sogno a caso tra quelli custoditi. Asha (Gaia Gozzi) che vive a Rosas con la mamma e il nonno Sabino (il papà non c’è più), spera che stavolta sia il turno del vecchietto, che compie cento anni e merita che il suo desiderio sia soddisfatto.
E invece no perché il Re, che la ragazza conosce bene perché vuole fare l’apprendista a palazzo, nonostante la propaganda lo dipinga come un benefattore illuminato, è un cinico e insicuro che ruba i sogni alla gente per tenersi stretta la corona. Asha si ribella al tiranno per liberare i sogni di Rosas e restituire un po’ di felicità a un popolo immalinconito. La aiuteranno una piccola stella dei desideri, Star, comparsa dopo uno strepitoso incantesimo notturno, la capretta Valentino (Amadeus) e tutti i suoi amici, che sono molti e volenterosi. Persino la Regina Amaya, stanca dei capricci del reale consorte, decide da che parte stare.
La struttura narrativa, il tono fiabesco, l’animazione che reinterpreta aggiornandoli stili espressivi classici, la centralità dell’immaginario Disney e l’inevitabile corollario di citazioni (occhio alla scena post-credit) ancorano Wish a una tradizione consolidata. Ci sono anche elementi di novità: la rappresentazione inclusiva, il protagonismo al femminile e un interesse per l’interiorità dei personaggi sempre più centrale nei discorsi della Disney da un po’ di tempo a questa parte.

Trilogia disneyana
Pochi classici esprimono l’ideologia della Disney con la franchezza di Wish. Ideale perno di una trilogia cominciata con Encanto nel 2021 – rilettura di un immaginario latinoamericano molto ricco, grandi canzoni e un nemico spiazzante e originalissimo, i demoni interiori dei personaggi – e proseguita con Strange World nel 2022 – mix di narrazione avventurosa otto/novecentesca e un discorso su famiglia e responsabilità decisamente contemporaneo.
Del primo film, Wish ha l’insolita – per la Disney – centralità assegnata alla psicologia dei personaggi, l’inclusività e il fatto che parli in prima persona femminile; tra Rosas e la felicità si frappone una fantasia maschilista ottusa e fuori tempo massimo, l’arroganza insicura del Re Magnifico. Del secondo, il tentativo di modernizzare gli sfondi ancorandosi a una tradizione narrativa collaudata, che è quella della fiaba.
Chiaro che con Wish l’intenzione della Disney sia essenzialmente celebrativa. Rileggere e omaggiare una storia centenaria è anche il modo più sicuro di riprendersi quelle fette di pubblico (le famiglie specialmente) sparite chissà dove. La morale della favola, l’audacia di sognare, di non smarrire per strada i propri desideri, è elementare e forse è questa la ragione di un appeal – è il caso di dirlo – secolare.
Fiaba moderna per inclinazione e filosofia, tradizionale nella struttura, Wish ha la forza del richiamo a un passato glorioso e il limite di ancorarsi troppo al suo immaginario di riferimento. L’eccesso di autocelebrazione partorisce un intrattenimento di qualità, che non osa quanto sarebbe stato lecito attendersi date le premesse.