Prima di parlare del valore artistico di The Creator, il nuovo film di Gareth Edwards (Rogue One, Godzilla, Monsters), per una volta vale la pena soffermarsi sul suo valore produttivo, che in questo caso è imprescindibile e a suo modo rivoluzionario. Se prendessimo un’accetta e dividessimo il cinema fantascientifico contemporaneo in due macro categorie, troveremmo da una parte film minimalisti a basso budget, solitamente caratterizzati da idee brillanti e limitate location (si pensi a Moon, Looper, Predestination, Ex Machina, Her, etc.) e dall’altra kolossal costosissimi caratterizzati da un grande dispendio di effetti speciali e star (Star Wars, Star Trek, Interstellar, Edge of Tomorrow, Blade Runner 2049, Dune, etc.).
Nel primo caso è difficile che si superi la soglia dei 50 milioni di dollari, nel secondo improbabile che si scenda sotto i 150. Lo stesso Matrix, che nel 1999 costò “solo” 65 milioni di dollari, oggi ne costerebbe 118 tenendo conto dell’inflazione. Esistono poi delle eccezioni, film che limando di qua e di là riescono a ottenere grandi rese con budget contenuti, posizionandosi in una zona di frontiera del “vorrei ma non posso” (The Wandering Earth, Space Sweepers, Captive State). Con The Creator, Gareth Edwards è riuscito a confezionare un film qualitativamente equiparabile a uno qualsiasi degli ultimi Star Wars (costati ciascuno tra i 200 e i 450 milioni di dollari) spendendo 80 milioni di dollari. Magia? Non proprio, anche se il trucco c’è. Ed è simile a quello utilizzato da grandi artigiani del passato come lo spagnolo Emilio Ruiz del Río, maestro degli effetti speciali che per sessant’anni si è dedicato all’arte del matte painting (tecnica pittorica che in fase di ripresa consente di aggiungere elementi scenografici attraverso giochi di prospettiva e una lastra di vetro dipinta).
Edwards ha infatti prima ripreso gli scenari straordinari in cui è ambientata la vicenda e solo successivamente ha chiesto alla Industrial Light and Magic di arricchirli con elementi fantascientifici; tra i vulcani dell’Indonesia e i villaggi galleggianti asiatici fanno così la loro comparsa immensi edifici futuristi mentre semplici contadini o persone del posto si trasformano in robot, con un risparmio in pre-produzione di svariati milioni. Inoltre, in diverse riprese il regista ha ridotto la troupe all’osso e girato in prima persona con una agilissima Sony FX3 (il corpo macchina è acquistabile online a circa 4.000 euro), utilizzando al posto di ingombranti e pesanti fari delle leggere luci al LED.
Un’incendiaria, autentica passione per la fantascienza
Una modalità di lavoro che richiede una visione estremamente lucida di ciò che si vuol fare, qualità che per fortuna a Gareth Edwards non manca, assieme a un elemento oggi raro: una incendiaria, autentica passione per il genere, percepibile in ogni inquadratura del film e ammessa a più riprese dallo stesso regista, che non fa mistero di avere in George Lucas il suo riferimento. The Creator è una riuscitissima amalgama del meglio della fantascienza postmoderna – da Akira a Star Wars, da Animatrix a Terminator – che si muove su binari tematici attualissimi per portare avanti una doppia riflessione politica.
In un mondo segnato dalla distruzione atomica di Los Angeles ad opera delle intelligenze artificiali, gli USA hanno messo al bando i robot che, dopo aver trovato asilo nel continente asiatico, portano avanti una strenua resistenza per la sopravvivenza. Mentre una stazione spaziale orbitante creata dagli americani dà la caccia allo scienziato che ha creato la AI, una nuova arma minaccia di ribaltare le sorti della guerra.
Il richiamo alla guerra in Vietnam è palpabile e visivamente presente in molte scene di guerriglia e bombardamenti e con esso la condanna di un Paese, gli USA, imperialista, militarizzato ma soprattutto terrorizzato dal diverso. Le intelligenze artificiali, che quando sono iniziate le riprese del film erano ancora un argomento poco dibattuto, diventano qui emblema di una alterità che il protagonista stesso fatica ad accettare e che storicamente è stata fonte di guerre e distruzione.

Edwards, anche co-autore della sceneggiatura con Chris Weitz, non indugia in prediche o rimproveri ma descrive con meticolosa crudezza gli effetti provocati da una stolida resistenza al cambiamento, condannando chi anziché costruire ponti li distrugge, chi anziché accogliere e integrare esilia, chi anziché imparare pretende di insegnare. L’intera storia è un percorso che, costantemente in bilico tra scienza e fede, metallo e spirito, futuro e tradizione, conduce verso una trasformazione sociale inevitabile e auspicabile – un messaggio ai cui sembrano impermeabili tanti politici italiani ed europei.
La narrazione è articolata in capitoli e fa un discreto uso di flashback, che movimentano il ritmo e danno sostanza al racconto; pur senza particolari guizzi di originalità, la vicenda è piacevolmente seguibile per ampi tre quarti del film, quando un epilogo piuttosto affrettato e decisamente già visto guasta un po’ l’atmosfera. Se sul fronte del cast il gruppo di eroi è valido ma ridotto all’osso e non di particolare richiamo (John David Washington, Gemma Chan, Allison Janney, Ken Watanabe e la piccola ma bravissima Madeleine Yuna Voyles), a brillare davvero nel film sono Greig Fraser (Dune, The Batman) e James Clyne (Star Wars – L’ascesa di Skywalker, Alita, Tomorrowland, Avatar), rispettivamente direttore della fotografia e Senior Visual Effects Art Director della ILM.
Un cinema che non ha paura di osare
Insieme alla regia attenta e presente di Edwards, sono loro a dare a The Creator un valore artistico immediatamente riconoscibile e di alto livello. Da una parte una fotografia, soprattutto notturna, avvolgente e squisitamente sci-fi, che lavora su campi lunghi e interni poco illuminati; dall’altra una ricchezza visiva straripante, che se negli scenari strizza l’occhio alle illustrazioni di Simon Stålenhag nel design si rifà direttamente alla lezione di Lucas, con navi, robot e abbigliamento retro-futuristici e caratterizzati da un grande realismo.
The Creator offre un ottimo esempio di tutto ciò che il buon cinema di fantascienza dovrebbe essere: originale (la storia non è un adattamento ma tutta farina del sacco di Gareth Edwards), appassionato e appassionante, produttivamente sostenibile, ricco di idee e trovate intelligenti, in grado di far riflettere sul presente sfruttando il potere attrattivo del futuro. Un cinema che non ha paura di osare, progettato per non avere sequel o prequel e in grado di alimentare una nuova generazione di sognatori.