Esistono diverse forme di orrore e di violenza, alcune molto reali, e non è detto che per realizzare un film horror ci sia bisogno di ricorrere esclusivamente alla fantasia. È quello che ci conferma L’Uomo Invisibile, l’ennesima trasposizione cinematografica del romanzo di H.G. Wells, che ne è un po’ una revisione e, allo stesso tempo, un aggiornamento. Il film, scritto e diretto da Leigh Whannell (già co-autore dell’universo di Saw – L’enigmista), sarebbe dovuto uscire nella sale italiane il 5 marzo, ma è stato ovviamente posticipato a data da destinarsi a causa dell’emergenza Covid-19.
Probabilmente l’uscita cinematografica non avrà più luogo, e a conferma di ciò il film è stato reso disponibile in streaming (lo trovate su Chili, anche in italiano). Purtroppo, verrebbe da dire, perché certamente il film di Whannell avrebbe meritato ben più dell’uscita on demand, e questo non solo perché l’horror è uno dei generi più “bisognosi” della sala cinematografica, ma anche perché L’Uomo Invisibile è un film notevole che rilegge la storia in maniera certamente non banale, affrontando uno degli aspetti più drammatici della nostra contemporaneità: la violenza sulle donne.
Cecilia (Elisabeth Moss), stanca dei soprusi del compagno Adrian (Oliver Jackson-Cohen), decide di fuggire dalla loro abitazione per riappropriarsi della propria vita. Per fare ciò chiede aiuto alla sorella poliziotta, Emily (Harriet Dyer), e al di lei compagno James (Aldis Hodge), che la ospita a casa sua. Lasciarsi il passato alle spalle però non è per nulla semplice. E per Cecilia non lo diventa neppure quando scopre che l’ex compagno è morto suicida e che lei ha ereditato parte dei suoi beni, gestiti dal fratello Tom (Michael Dorman). Nonostante infatti Adrian sia ufficialmente morto, Cecilia ha dapprima la sensazione e poi la certezza che lui continui a perseguitarla. Il problema è che nessuno le crede…
Il nuovo rifacimento de L’Uomo Invisibile si basa su un’idea vincente: trasformare il racconto di Wells in una riflessione sulla violenza domestica. Abbandonando (quasi completamente) gli elementi fantastici presenti nel romanzo, il film privilegia un realismo che si riverbera sia a livello narrativo che contenutistico. Whannell sceglie il tema della violenza sulle donne non solo come perno su cui far ruotare tutta la vicenda, ma anche come possibile rilettura di una storia che sembrava aver già detto tutto, almeno al cinema (si contano una decina di film ispirati al romanzo, senza contare le trasposizioni televisive).
Assumendo il punto di vista della vittima, Cecilia, L’Uomo Invisibile racconta una storia che ha molteplici piani di lettura, non da ultimo quello metaforico. Il percorso che la nostra eroina è costretta è compiere comprende tutte le tappe che una donna nella sua situazione si trova a dover affrontare nella vita reale: la ribellione al proprio aguzzino (per chi ci riesce), il tentativo di tornare a una vita normale, la paura di essere vittima di stalking, il disagio nel provare la sensazione che il proprio carnefice possa tornare a fare del male, e – cosa tra le più gravi probabilmente – la sovente incapacità delle altre persone a credere alle vittime.
Così facendo, l’opera di Whannell mette davvero in scena un dramma che quotidianamente molte donne sono costrette a vivere. E lo fa non proponendosi come un film a tesi, ma utilizzando in maniera sapiente tutti i cliché tipici del genere horror per farci identificare con una donna perseguita da un uomo che continua a minacciare la sua vita. Per fare ciò, si affida a una suspance a tratti davvero insostenibile che non si basa su un sensazionalismo spicciolo fatto di inutili jumpscares, ma su una serie di dettagli che amplificano l’inquietudine della vicenda: la sagoma di una mano che prende forma sul vetro appannato di una doccia, il respiro “vaporoso” dell’aguzzino invisibile che si manifesta alle spalle della protagonista senza che lei se ne accorga, un’impronta furtiva lasciata sul pavimento, ecc.
E l’aspetto ancor più terrificante è che la minaccia che incombe su Cecilia non è a lei estranea, ma, al contrario, le è familiare. Per acuire questo aspetto – non è necessario andare a cercare il male altrove, spesso è molto più vicino a noi di quanto pensiamo – il film è ambientato quasi esclusivamente all’interno di un abitazione familiare, appunto. Non è quella di Cecilia, è vero, ma si tratta pur sempre di un ambiente sul quale la protagonista crede di esercitare un certo controllo: è la casa di James, il compagno della sorella, ed è un luogo contraddistinto comunque dagli affetti familiari e per tale motivo sicuro, almeno all’apparenza. Eppure è proprio questo spazio a diventare il luogo privilegiato del conflitto tra la protagonista e il suo aguzzino. Si tratta di un ambiente claustrofobico, contraddistinto da spazi che appaiono (alla protagonista come a noi spettatori) angusti ed irti di pericoli: corridoi bui e stretti, soffitti bassi che celano più di un mistero e, più in generale, stanze popolate da fantasmi che, se inizialmente appaiono come la proiezione delle paure di Cecilia, alla fine si rivelano paurosamente reali.
Proprio per la sua profondità e la sua attualità L’Uomo Invisibile è un film importante oltre che riuscito. Ed è sopratutto il suo voler affrontare – di petto, è bene dirlo – uno degli aspetti più inquietanti presenti nella nostra società che fa chiudere un occhio su alcuni passaggi a vuoto della sceneggiatura che inducono lo spettatore a compiere uno sforzo circa la credibilità di quanto viene mostrato, per non parlare di qualche colpo di scena un po’ troppo telefonato. Ma, limiti a parte, ce ne fossero di horror così, capaci di farci provare davvero il sentimento della paura e di indurci a riflettere sull’orrore insito nella nostra quotidianità. In fondo, come dice il detto: la realtà, ahinoi, spesso supera la fantasia.