Uscito nel 2017, Wonder Woman è stato accolto a livello globale da un successo clamoroso, tanto da farlo diventare il maggior incasso di sempre per la DC. Si trattava, per certi versi, di un film epocale: il primo cinecomic diretto da una regista donna, Patty Jenkins. La sua riuscita è sicuramente imputabile alla scelta di fare della sua protagonista, Diana Prince, la massima espressione del cosiddetto Women’s Empowerment – oltretutto in un’epoca di positiva rinascita del movimento femminista -, ma non solo. Perché, a un livello più cinematografico, il film della Jenkins testimoniava un significativo cambio di rotta rispetto ai precedenti capitoli della saga DC che avrebbe poi portato al collettivo Justice League: più ironia, più ingenuità, minore cupezza. Sono, questi, gli ingredienti che la regista ha utilizzato anche per il secondo capitolo (in solitaria) delle avventure dell’eroina proveniente dalla mitica isola di Themyscira: Wonder Woman 1984, dal 12 febbraio disponibile per l’acquisto e il noleggio premium su Amazon Prime Video, Apple Tv, YouTube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV e per il noleggio premium su Sky Primafila e Infinity.
Nel precedente capitolo avevamo lasciato Diana (Gal Gadot), ancora distrutta dal dolore per la perdita del suo amato Steve (Chris Pine), nella Parigi contemporanea. La ritroviamo invece adesso nella Washington degli anni ’80. Lavora sempre in ambito museale, ma scopriamo che anni prima di giungere al Louvre in qualità di esperta antropologa ha ricoperto il medesimo ruolo presso lo Smithsonian Museum. La sua quotidianità si alterna tra il proprio impiego e la salvaguardia dell’umanità, per lo più agendo da supereroe di quartiere. L’arrivo di uno strano artefatto di origine misteriosa allo Smithsonian, però, rischia di mettere fine all’apparente pace che regna nel mondo (siamo comunque sempre nell’America reaganiana ancora ossessionata dai bolscevichi).
L’oggetto antico, infatti, ben presto si rivelerà essere un potente tramite per ottenere tutto ciò che si desidera (una specie di lampada di Aladino, insomma). Ad approfittarne, inizialmente, è l’imbranata studiosa Barbara (Kristen Wiig), bramosa di essere come l’appariscente e sempre perfetta collega Diana; ma sarà anche la stessa protagonista ad affidarsi – inconsapevolmente – alla pietra magica per cercare di mettere fine al suo dolore (naturalmente su questo non aggiungiamo altro). Il problema, però, è che anche un sedicente uomo d’affari – in realtà un truffatore -, tale Max Lord (Pedro Pascal), ha messo gli occhi sull’artefatto. Il suo obiettivo è quello di catalizzare il suo enorme potere, ma le conseguenze delle sue azioni saranno catastrofiche.
Scritto dalla stessa regista insieme a Geoff Johns e David Callaham, basandosi naturalmente sui fumetti di William M. Marston, Wonder Woman 1984 ha pressoché gli stessi pregi e difetti del capitolo precedente. Contraddistinto da un alto tasso di nostalgica ironia – a cui contribuisce anche la location anni ’80 (motivata fino ad un certo punto) -, e pervaso da un’estetica naïf (volutamente ingenua), il film della Jenkins risulta riuscito (anche se forse a tratti eccessivamente programmatico) soprattutto nel descrivere una realtà maschilista dove le donne per sopravvivere devono fare affidamento sui loro superpoteri (e non stiamo parlando di quelli soprannaturali).
Per il resto, paradossalmente le sequenze più efficaci sono quelli più intimiste, mentre quelle spettacolari dimostrano – come nel precedente capitolo, d’altronde – di essere deboli: contraddistinte da quell’estetica posticcia che vorrebbe essere un omaggio alla grafica fumettistica, ma che rischia sovente di rendere il film involontariamente ridicolo. Mentre la lunghezza eccessiva – ben 151 minuti! – non aiuta; non che il film annoi, ma qualche taglio nella parte centrale avrebbe reso sicuramente più dinamico il racconto, che invece rischia a volte di ristagnare. Il finale, comunque, riscatta parzialmente le indecisioni drammaturgiche di Wonder Woman 1984: sicuramente retorico, semplicistico, ma indubbiamente d’impatto.
Convince invece il cast. Se Gal Gadot dimostra di essere maggiormente a suo agio di fronte alla macchina da presa rispetto al capitolo precedente, le new entry di Kristen Wiig e Pedro Pascal rappresentano un vero e proprio valore aggiunto. La prima, già talentuosa comica del Saturday Night Live, ha l’arduo compito di rendere coerente (e, grazie all’ottima costruzione del personaggio, ci riesce) la trasformazione dell’imbranata Barbara nella perfida Cheetah; il secondo, invece, che gigioneggia in modo gustosamente irrefrenabile, dà vita a uno sfrontato villain tanto perfido quando drammaticamente complessato.