Forse non godrà dell’apprezzamento di saghe ben più amate e di maggiore successo come quelle di Star Wars, Harry Potter, Il signore degli anelli e persino Ghostbusters, ma anche il franchise di Scream può vantare, ancora oggi, un nutrito gruppo di appassionati che non vedevano l’ora di fare ritorno a Woodsboro, la cittadina statunitense che ha fatto da sfondo al teatro degli orrori partorito ormai 25 anni fa dalla mente ipercreativa di un maestro del genere horror, il compianto Wes Craven.
Trascorsi undici anni dall’uscita di Scream 4, ultimo film diretto da Craven prima della sua scomparsa (avvenuta nel 2015), il temibile e iconico Ghostface torna sul grande schermo per un nuovo entusiasmante capitolo di una saga a suo modo fortunata che – e questo è innegabile! – ha contribuito a rilanciare e ridefinire il genere horror, decostruendolo dall’interno e ampliando di volta in volta un interessantissimo discorso metacinematografico in grado di conferire all’intera serie una dignità invidiabile (tanto da giustificarne di volta in volta ogni nuova uscita).
Scream, questo il titolo del quinto capitolo in arrivo nelle sale italiane il 13 gennaio, rappresenta la volontà precisa, da parte dei registi Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett (noti per Finché morte non ci separi), di portare avanti quel discorso e dimostrare quanto il franchise, dopo oltre vent’anni, abbia ancora moltissime cose da dire, non solo rispetto a sé stesso e alla sua eredità, ma anche nei confronti di un panorama che spesso appare desolante, in cui la scarsità di idee, unita ad una mancanza di originalità (e spesso anche di coraggio), costringono lo spettatore ad assistere sgomento – il più delle volte! – alla realizzazione di prodotti che, semplicemente, non hanno ragione di esistere.
Questo nuovo Scream, invece, è tutto fuorché un’operazione priva di intelligenza. Al contrario, la coppia Bettinelli-Olpin/Gillett si dimostra all’altezza dell’arduo compito a loro affidato e, in barba a tutti gli scettici, realizza un film che riesce non soltanto ad omaggiare il franchise in generale (soprattutto il primo iconico capitolo), ma anche a portare avanti in maniera assolutamente coerente quella riflessione sui meccanismi del genere horror che ha sempre rappresentano il vero cuore pulsante della saga, riuscendo ancora una volta ad espanderla e a farla risultare sorprendentemente calzante rispetto non solo all’evoluzione e alla percezione dell’orrore nella contemporaneità, ma anche allo stato del cinema e dei franchise in generale.
Da questo punto di vista, quindi, il nuovo Scream va interpretato nell’ottica di un “re-quel”, cioè di un ibrido che considera il capostipite (in questo caso l’originale di Craven del 1996) come il modello insuperabile a cui aspirare e a cui bisogna restare fedeli, ma di cui servirsi al tempo stesso per provare a tracciare un nuovo percorso. Questo è esattamente ciò che accade dentro e fuori lo schermo, dal momento che a tenere conto di quelle “regole” ormai dettate, infrante, dimenticate e riscritte sono al tempo stesso sia i personaggi della storia sia lo spettatore che osserva divertito e compiaciuto come questo quinto capitolo – travestito da spassosa e autoironica matrioska rosso sangue – riesca a dialogare tanto con il passato quanto con il presente.
E se da un lato le dinamiche messe in scena riflettono come il genere horror, nel corso degli anni, sia diventato appannaggio di un pubblico dai gusti sempre più raffinati ed esigenti (attento soprattutto alla costruzione drammaturgica e all’evoluzione psicologica, non soltanto ai vari jump scares disseminati qua e là, come invece accadeva prima), dall’altro si fanno beffa del lato malsano (per non dire tossico!) del fandom, nei confronti del quale sembra esistere un’osservanza ai limiti dell’assurdo, anche da parte della stessa industria hollywoodiana, così attenta a non andare mai a intaccare la loro sensibilità, soprattutto quel sentimento unico e indescrivibile che li lega al primo capitolo della loro saga del cuore.
Senza mai perdere di vista l’omaggio sentito e, al tempo stesso, la rielaborazione di concetti che necessitano di essere ancora una volta attualizzati, il duo Bettinelli-Olpin/Gillett non si lascia sfuggire l’occasione per costruire un film impeccabile dal punto di vista dell’intrattenimento in cui, al di là di tutta la metanarrazione e l’autocitazionismo, della glorificazione dello status di fanfiction, dell’osservazione di tempi e ruoli che cambiano e si sovvertono (nonostante il ritorno di Neve Campbell, David Arquette e Courtney Cox, gli storici personaggi di Sidney, Linus e Gale non sono più centrali come un tempo), c’è anche spazio per fare grande sfoggio delle loro abilità di cineasti, dando vita a sequenze violente e sanguinose come forse non se ne erano mai viste prima all’interno della saga.
Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett dimostrano, quindi, di aver compreso a fondo lo spirito del franchise, che sfruttano appieno per dare vita ad un film che rappresenta la naturale evoluzione che il franchise era probabilmente destino a perseguire e di cui Wes Craven quasi certamente sarebbe andato molto fiero. Il duo statunitense ne sviluppa con sorprendente arguzia tutte le ingegnose e divertenti potenzialità, tracciando un solco che si spera possa prolungarsi ancora verso il futuro, senza mai deludere le aspettative.