Monterossi – La serie è il titolo dell’atteso nuovo prodotto targato Amazon Original che porta sul piccolo schermo, per un totale di sei episodi, le avventure del “detective per caso” Carlo Monterossi, nato dalla penna dello scrittore e giornalista Alessandro Robecchi. Due dei romanzi di Robecchi editi da Sellerio – Questa non è una canzone d’amore e Di rabbia e di vento – sono alla base di questo nuovo prodotto seriale che porta la firma di Roan Johnson (co-autore della sceneggiatura insieme a Robecchi e a Davide Lantieri) alla regia e la presenza di Fabrizio Bentivoglio nei panni del protagonista, un autore televisivo che si ritrova suo malgrado coinvolto in crimini e misfatti di ogni genere, sullo sfondo di una malinconica Milano.
E proprio alla presenza di Johnson, Robecchi, di Bentivoglio e degli altri co-protagonisti Martina Sammarco, Carla Signoris e Diego Ribon si è tenuta la conferenza stampa di presentazione della serie, pronta a debuttare dal 17 gennaio su Amazon Prime. Un’occasione in più per scavare a fondo nel “microcosmo Monterossi”, conoscendolo meglio per analizzare alcune delle costanti che, dal romanzo, sono emigrate direttamente sullo schermo, complice l’adattamento firmato anche a quattro mani da Johnson e Robecchi stesso. Ed è stato proprio quest’ultimo a raccontare il processo creativo che si cela dietro una trasposizione da un medium ad un altro, quando un mondo considerato “di carta” inizia a prendere corpo davanti ai propri occhi:
«È così sorprendente vedere qualcosa che prende forma, che inizia ad acquisire un corpo “fisico” con dei personaggi che diventano finalmente reali, è… è, appunto, sorprendente. E ciò che mi ha entusiasmato di più è stata proprio la somma delle intelligenze creative all’opera. Tu, da scrittore, ti sei immaginato una cosa in un modo e a conti fatti ciò che viene adattato ne conserva sempre qualcosa, una traccia originaria come nella tua immaginazione. Scrivere è un’esperienza da compiere in solitaria, ma il lavoro collettivo che si mette in campo su un prodotto come Monterossi – La serie è entusiasmante: in fondo, due cervelli o più sono migliori al lavoro… no? Ogni volta Roan, ad esempio, mi sorprendeva per come riusciva ad adattare ciò che avevo immaginato; ed è in tal modo che ho visto prendere forma a dei personaggi che avevo inventato nella mia mente, perché si tratta sempre di un altro linguaggio e quindi, come accade in ogni processo di traduzione, ci sono delle parole e delle modalità diverse che variano da medium a medium. La traduzione deve lasciare una traccia di fedeltà rispetto a ciò che si vuole dire in partenza e nel nostro caso specifico la convergenza è stata perfetta».
Ovviamente se Robecchi è stata la scintilla che ha innescato, grazie alla sua creatività, la genealogia del personaggio di Monterossi, si deve al regista Roan Johnson – di recente autore della black comedy State a casa – la capacità di regalare ai romanzi dell’autore una dimensione effettiva, fisica e visiva, sfruttando perfino degli escamotage non presenti nelle opere per raccontare in modo non didascalico un universo così complesso e sfaccettato: è accaduto, ad esempio, con la scelta di introdurre una dimensione onirica molto forte all’interno di Monterossi – La serie, per spiegare con ironia alcuni aspetti della psiche e dell’emotività iperattiva dell’autore televisivo. Ed è stato proprio Johnson a raccontare, nel dettaglio, il processo creativo dietro il prodotto Amazon che vede protagonista quello che viene definito – proprio in uno dei romanzi – come un “errore di sceneggiatura”, l’uomo sbagliato al momento giusto:
«Partiamo da un presupposto: quando io e Davide abbiamo saputo che il produttore si era innamorato dei romanzi di Robecchi e poi siamo stati ingaggiati per lavorare su una trasposizione, ne siamo rimasti subito conquistati anche noi. Io ho già avuto la fortuna di adattare per il piccolo schermo sia Camilleri che Malvaldi e ogni volta che ti approcci ad un nuovo lavoro devi capire qual è il miglior modo per salvaguardare il cuore, l’originale. Perché puoi tradire delle cose ma non tutte e poi devi sempre salvaguardare tanto il cuore quanto la scrittura stessa. E quella di Robecchi è già cinematografica in partenza: pensate che quella battuta sul Monterossi “errore di sceneggiatura” è già così nel romanzo! Noi abbiamo solo fatto un lavoro sul nostro ego per non aggiungere delle nostre sfumature “in più”, minando in tal modo dei meccanismi che già funzionavano.
Nei romanzi di Robecchi ci sono due grossi protagonisti: Milano e Monterossi; e poi ci sono un grande amore e un odio altrettanto grande che si scontrano perché Carlo Monterossi è innamorato di Milano, ma è in conflitto con una città che non riconosce più; la modernità lo sta assediando. Ed è anche per questo motivo che si ritrova sempre nel posto sbagliato fin dall’inizio, trasformando però dei problemi in una serie di opportunità: ad esempio, come accade nel primo episodio, da un errore criminale inizia ad indagare su se stesso, non tanto sui crimini che avvengono in città; indaga su un divario insanabile e su un conflitto tra un mondo nuovo, di cui non capisce più certi aspetti, e un sistema dei valori che appartengono ad un’altra epoca: la sua. E questo autore televisivo riesce, nell’arco di sei episodi – e di due storie distinte raccontate nella serie – ad affondare in queste contraddizioni della modernità facendo, però, allo stesso tempo giustizia».
Monterossi – La serie è, a tutti gli effetti, una serie atipica sia per le premesse che animano i personaggi protagonisti dei romanzi, che per il genere scelto: è un crime atipico, con elementi propri della commedia che la rende quindi capace di far ridere, commuovere, ma anche riflettere sulle tante idiosincrasie parossistiche che animano il nostro quotidiano. Un’opera che finisce per somigliare molto alla vita stessa, “senza farne una caricatura” (come ha dichiarato, candidamente, Alessandro Robecchi); un prodotto seriale che ha trasformato la propria unicità in un aspetto peculiare, grazie soprattutto all’attore scelto per portare in vita l’autore di tv-trash (involontaria) Carlo Monterossi, ovvero un ispirato Fabrizio Bentivoglio che ha raccontato così questa sua rara incursione nel mondo della televisione:
«Ho scelto spontaneamente di non fare troppa tv, ma senza alcun preconcetto: preferivo dedicarmi al teatro e al cinema, anche se la serialità attuale offre ad un attore numerose possibilità per raccontare un personaggio in spazi e tempi diversi, in modo molto più approfondito rispetto alle potenzialità del grande schermo, che obbliga sempre e comunque ad una sintesi maggiore. Io e Carlo Monterossi abbiamo numerosi punti in comune: non solo Milano, ma anche l’appartenere ad una certa generazione specifica e una fede calcistica – l’Inter – insomma… più elementi mi rendevano affine a questo autore tv, li riconoscevo in lui perché forse anch’io sono un po’ così e questo aspetto ha reso tutto più semplice.
C’è una definizione specifica che fotografa alla perfezione Monterossi nella serie: “un vincente involontario innamorato dei perdenti”. Ecco, mi riconosco molto in questa descrizione, in un uomo perdutamente rapito dagli ultimi; sono consapevole che spesso tutto quello che rappresentiamo finisce per rappresentarci, ed è anche inevitabile che sia così. Per esempio, il legame tra Monterossi e Milano è davvero molto simile a quello che ho io nella realtà con la città: è la mia città, lì ho fatto gli studi presso la scuola del Piccolo e poi me ne sono andato. La Milano che ricordo io, quindi, è molto diversa da quella attuale: dove adesso ci sono i grattacieli, in una zona specifica, all’epoca c’era un luna park e io ricordo ancora il tiro a segno… ricordo una Milano più vicina a quella parte antica. La parte moderna che circonda il protagonista in Monterossi – La serie non c’era ancora, e nonostante il passaggio degli anni per me Milano è rimasta come il luogo della mia memoria, con dei posti che ancora mi emozionano perché per me sono portatori sani di ricordi.
Altri due aspetti interessanti del microcosmo di Monterossi – La serie riguardano il legame inscindibile dell’uomo con Bob Dylan e quello con il mondo della tv: per lui Dylan è una specie di zio, di fratello maggiore o di amico “di vinile”, qualcuno con cui chiacchiera, si confronta e lo conosce talmente bene che in ogni momento ha la canzone giusta del vecchio Bob pronta all’uso, come colonna sonora che corrisponde ogni volta ad un momento specifico. Anch’io ho libri e vinili su Bob Dylan, e questo è di sicuro un elemento in più che mi accomuna a Monterossi. Per quanto riguarda invece il rapporto tra Carlo e la tv… credo che Alessandro sia in grado di spiegarlo molto meglio».
Alessandro Robecchi: «Secondo me, qualunque sentimento espresso davanti ad un pubblico composto da più di tre persone abbandona la categoria del sentimento per diventare spettacolo, proprio quel tipo di tv della quale Monterossi è autore riluttante; parliamo a tutti gli effetti di una pornografia dei sentimenti, di disastri familiari e sentimenti squadernati. Questa non è tv ma voyeurismo e fucilazione del pudore da parte degli spettatori stessi e il pubblico si domanda sempre se ciò che vede è parodia o realtà, ma entrambi finiscono per intrecciarsi da sé. È tutto talmente connesso che, in Monterossi – La serie, c’è questa parola che usano durante le riunioni con gli autori e la conduttrice Flora: “pettinare”, che vuol dire rendere televisiva la vita vera che altrimenti non lo è».