Sull’onda della pandemia di Coronavirus che come un’enorme tsunami ha stravolto l’industria cinematografica, sabotandone e scombinandone i piani, anche Mulan, l’atteso live action del classico d’animazione Disney del 1998, sortisce gli effetti della chiusura forzata delle sale cinematografiche e arriva direttamente on demand, disponibile dal 4 Settembre direttamente su Disney+ al costo aggiuntivo di 30 dollari negli Stati Uniti e di 21.99 euro in Italia. Nei paesi in cui la piattaforma di streaming non è disponibile (come ad esempio in Cina), il film verrà distribuito – come da consuetudine – nei cinema.
È un vero peccato che il film della regista neozelandese Niki Caro non abbia avuto la possibilità di godere di un’uscita nelle sale su larga scala, dal momento che presenta al suo interno tutte le carte in regola per essere gustato sul grande schermo, a partire dalla storia (pretestuosa ma coinvolgente), dai personaggi (guidati da una coraggiosa eroina alla disperata ricerca della sua identità) e alle scene d’azione (precise e meticolose, frutto sapiente dei potenti mezzi che la Casa di Topolino ha messo a disposizione della regista e della produzione).
Distaccandosi dal classico animato e prendendo come principale modello di riferimento l’originale leggenda cinese, Mulan è a tutti gli effetti uno dei migliori live action sfornati dalla multinazionale americana, e non perché riesca ad uscire indenne dal confronto con il precedessore degli anni ’90 o perché riesca a coniugare in maniera calzante l’epica della narrazione con la spettacolarità delle immagini, ma perché è capace di svincolarsi dalla necessità di suscitare a tutti i costi un sentimento nostalgico e a rimodellare una storia che in parte già conosciamo servendosi di alcuni cambiamenti funzionali che vanno ad arricchire tanto il percorso scandito dalle peripezie che si trova ad affrontare l’eroina protagonista quanto gli stessi personaggi coinvolti nella vicenda narrata.
La Hua Mulan portata sullo schermo dalla Caro, regista che già in passato avevo mostrato una particolare sensibilità nei confronti dei personaggi femminili (basti pensare a pellicole come La ragazza delle balene, North Country – Storia di Josey e La signora dello zoo di Varsavia) è una donna, prima che un’eroina, attraverso la cui personalità viene portato all’estremo quanto di rivoluzionario c’era già nella figura al centro del classico d’animazione. La rilettura femminista della storia e di “riflesso” del personaggio di Mulan (molto sensata e apprezzabile) trasforma il live action in un racconto ben dosato, mai troppo invadente e complessivamente equilibrato, in cui diventa cruciale saper sfruttare la nostra forza interiore e abbracciare il nostro vero potenziale.
Un’armonia narrativa che ben si sposa con la regia della Caro, che pur non sfruttando mai veramente tutte le potenzialità offerte dai vari momenti più avventurosi della storia, è in grado di restituire delle sequenze d’azione davvero ben coreografate, in cui si alternano corse e combattimenti a cavallo, oltre a lotte corpo a corpo o a suon di spada. Nonostante l’elemento epico e spettacolare della storia non venga mai sfruttato ai massimi livelli, l’intrattenimento orchestrato da Mulan si mantiene costante per tutta la durata del film, complice anche un ensemble di attori che riesce a donare grande cuore ai personaggi che interpretano: da un redivivo Jason Scott Lee (i 90’s addicted lo ricorderanno sicuramente per Dragon – La storia di Bruce Lee e Mowgli – Il libro della giungla) ad un sempre impeccabile e affascinante Gong-Li (Lanterne rosse, La storia di Qiu Ju, Addio mia concubina, Memorie di una geisha), è sicuramente Liu Yifei a vincere la sfida più grande, portando sulla schermo una Mulan di alto spessore, carismatica e indomita, ma non per questo meno fragile, pronta ad abbracciare la sua vera natura e compiere il suo destino.
Un altro aspetto su cui è interessante riflettere è l’inevitabile confronto con il classico d’animazione, da cui il nuovo Mulan non ne esce incolume, ma neanche infangato. Al di là delle varie scene che riportato inevitabilmente alla memoria il cartone del 1998, è il modo in cui la sceneggiatura riesce a sopperire alla mancanza di alcuni iconici personaggi originali che risulta intelligente: l’assenza di Mushu, ad esempio, viene giustificata non solo da un contesto molto più realistico, marziale e meno fantasy in cui si inserisce la storia della Caro, ma anche dal fatto che il comic relief incarnato dallo spiritello degli avi con le sembianze di un piccolo drago rosso (amico, consigliere e guida di Mulan, che nella versione originale del classico era doppiato da Eddie Murphy) viene stemperato attraverso alcuni dei personaggi che l’eroina incontrerà lungo il suo viaggio verso l’affermazione di sé.
Pur non riuscendo ad offrire quel grado di epicità e di spettacolarizzazione che forse avrebbe merito, e mettendo da parte l’importanza del travestimento (come invece approfondiva molto bene il classico originale, ancora oggi amatissimo dalla comunità LGBTQ+) a discapito di una maggiore attenzione sui concetti di affermazione e distinzione (perfettamente esplicitati non solo attraverso il percorso della protagonista ma anche attraverso la storyline – seppur vagamente accennata – del personaggio della strega/guerriera Xian Lang), Mulan risulta comunque un ottimo prodotto di intrattenimento, una rielaborazione che ben si sposa con questi pazzi tempi moderni, nonché uno dei pochissimi live action Disney che finalmente riesce a trovare una sua ragion d’essere.