Provare a riavviare, rinnovare o semplicemente portare avanti un franchise così amato come quello di Ghostbusters non è certamente un’impresa facile. Quando si tratta della saga dedicata agli Acchiappafantasmi, non basta di certo affidarsi soltanto ad una manciata di idee potenzialmente vincenti: c’è bisogno di ricreare, attraverso il potere delle immagini, uno spirito, un sentimento.
Non basta mettere insieme un cast nuovo di zecca al servizio di una storia altrettanto moderna per dare la parvenza di essere riusciti a rendere omaggio ad una proprietà così profondamente radicata nella memoria pop collettiva (soprattutto in chi era adolescente durante gli anni ’80). Ghostbusters: Legacy di Jason Reitman non vuole provare ad essere come i film originali, perché è fin troppo consapevole di non poterci riuscire. Al contrario, cerca di rievocare determinate emozioni legate ad una storia e a dei personaggi senza tempo, attraverso uno sguardo che vuole unire il vecchio e il nuovo, senza snaturare il primo e senza depersonalizzare il secondo.
Callie (interpretata da Carrie Coon), una madre single, si trasferisce insieme ai suoi due figli, Trevor (Finn Wolfhard), e Phoebe (McKenna Grace), in una piccola cittadina di nome Summerville, in Oklahoma. Ha ereditato dal padre, che l’ha abbondonata quando era solo una bambina, una vecchia casa fatiscente, in cui decide di rimanere soltanto perché impossibilitata a pagare l’affitto del suo vecchio appartamento. Quando Phoebe, con l’aiuto di un amico pieno di risorse, Podcast (Logan Kim), e di uno strambo insegnante, Mr. Grooberson (Paul Rudd), inizierà ad indagare su una serie di misteriose scosse di terremoto che tormentano la cittadina, l’intera famiglia sarà costretta a fare i conti con l’eredità lasciata dal nonno, scoprendo un’inaspettata connessione con gli Acchiappafantasmi…
Ghostbusters: Legacy, presentato in anteprima europea ad Alice nella Città (la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma), riesce in quella che era forse l’impresa più difficile di tutte: sembrare a tutti gli effetti un film della saga. Reitman restituisce un senso di nostalgia che si annida nei dettagli senza mai risultare eccessivo, costruendo una piccola storia dal cuore enorme, carica di umorismo ed ironica per nulla ammiccanti, ma calibrati sempre con profonda intelligenza. Il vero pregio del regista di Juno e Tra le nuvole è quello di essere riuscito a dare vita ad un film che parla della magia del cinema: Reitman ci prende per mano e ci trasporta indietro nel tempo, sa come ammaliare e sorprendere lo spettatore attraverso una storia dove ci si aspetta possa davvero succedere di tutto.
La sceneggiatura, scritta a quattro mani dallo stesso Reitman con Gil Kenan (regista di Monster House), è costellata di tanti piccoli momenti suggestivi, capaci di far venire letteralmente la pelle d’oca, ma anche di momenti estremamente divertenti che riescono ad esaltare i giovani protagonisti della storia, dei disadattati a cui è impossibile non affezionarsi fin da subito.
Un ruolo cruciale è giocato anche dalla città di “Summerville”, che sembra come avulsa dal tempo e dallo spazio, dimenticata da Dio, location ideale in cui ambientare una storia di fantasmi, ma non solo… anche di amore, di amicizia, di fratellanza, di famiglia. Temi universali che si fondono con altri dal peso forse ancora più rilevante: quello della morte e quello dell’eredità; due lati della stessa medaglia, due carichi forse troppo grandi da sopportare, ma con cui tutti siamo costretti a fare i conti prima o poi.
Jason Reitman è letteralmente cresciuto a pane e Ghostbusters (suo padre Ivan ha diretto i due film del 1984 e del 1989) e tutto il suo amore per la saga trasuda in ogni inquadratura, conferendo al film un tono genuinamente entusiastico. Molte cose accadono sullo schermo, ma Reitman non eccede mai in vistosità: il suo stile è semplice, diretto, sottile… proprio come un grande classico degli anni ’80. Il regista ha profondo rispetto per il materiale originale, sa come omaggiarlo senza strafare e al tempo stesso sa come estrapolare da esso il meglio per regalare al pubblico nuovi modi per divertirsi ed emozionarsi, guardando sia al passato che al futuro, gettando basi solide per la realizzazione di altri nuovi capitoli.
La storia è ricca di riferimenti (e di presenze!) che ovviamente faranno la gioia dei fan della prima ora, ma tutto è calibrato e, soprattutto, funzionale in riferimento ai nuovi personaggi, semplicemente adorabili e magnificamente tratteggiati. Finn Wolfhard è sicuramente il volto più noto del gruppo (grazie soprattutto alla serie Stranger Things), ma a rubare la scena sono soprattutto McKenna Grace (Annabelle 3) e l’esordiente Logan Kim. Se a quest’ultimo, nei panni del bizzarro ed eccentrico Podcast, vengono affidate le battute più divertenti e spassose del film, la Grace, nonostante la giovane età, dimostra già di possedere un talento vivace e arguto, dando vita ad una ragazzina assai peculiare, curiosa, affascinata da tutto ciò che la circonda, spinta da una vena ribelle a volere fare luce sulla storia della sua famiglia e a mettere alla prova il suo coraggio.
Se la vostra paura era che Jason figlio potesse macchiare l’eredità della più grande creazione di papà Ivan, sappiate che non c’è nulla da temere: Ghostbusters: Legacy è un vero e proprio atto d’amore nei confronti del franchise e, al tempo stesso, una bellissima storia in grado non solo di stabilire saldamente un nuovo inizio, ma anche di ricordarci perché il cinema è forse l’arte che, meglio di tutte, riesce a fare leva sulle nostre emozioni primordiali, facendoci prima ridere e un attimo dopo sciogliere fino alle lacrime. Archiviato senza troppo clamore il reboot al femminile del 2016, possiamo tirare un sospiro di sollievo e affermare che il franchise di Ghostbusters riparte ufficialmente da qui.