lunedì, Dicembre 4, 2023
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Fast X, recensione del decimo capitolo della saga di Fast & Furious

La recensione di Fast X, il decimo capitolo della saga di Fast & Furious con Vin Diesel e Jason Momoa. Al cinema dal 18 maggio.

Concludere una serie o, addirittura, una saga non è mai un’operazione facile: il rischio più grande che si corre è quello di tradire la fiducia di tanti fan, appassionati (e fidelizzati ad un prodotto) che si sono affezionati ai personaggi protagonisti, tanto da considerarli a tutti gli effetti come parte integrante delle loro famiglie.

E proprio intorno a questo tema cardine ruota una saga cinematografica particolarmente longeva e fortunata, ovvero quella di Fast & Furious che ha ormai trovato nel volto di Vin Diesel il proprio simbolo, l’uomo-immagine di un intero progetto iniziato quasi ventitré anni fa. Risale infatti al 2001 il debutto con il primo capitolo, che approdava nelle sale con protagonisti lo stesso Diesel e il compianto Paul Walker; passare da semplici attori a fratelli (non di sangue) è stato facile, e l’amicizia tra i due è stata talmente forte da superare i confini della morte, improvvisa e scioccante, dello stesso Walker, come ha dimostrato la lunga celebrazione confluita nel settimo film della saga e la presenza, abbastanza ricorrente, della figlia di Paul, Meadow, come attrice perfino in questo decimo capitolo, intitolato Fast X. E quest’ultimo è proprio il capitolo definitivo che traghetta lo spettatore verso la conclusione – divisa in tre tempi – che vedrà la luce con il dodicesimo film del franchise, come annunciato dallo stesso Diesel durante la premiere mondiale del film, tenutasi a Roma.

Con l’arrivo nelle sale fissato per il 18 maggio, Fast X riporta alla ribalta le avventure di Dom Toretto (Diesel) e della sua famiglia allargata, pronti a superare con astuzia, coraggio e abilità tutti i nemici e gli ostacoli che hanno incontrato lungo il loro cammino. Ora si trovano però di fronte all’avversario più letale che abbiano mai affrontato: una minaccia terribile che emerge dalle ombre del passato, alimentata dalla vendetta, determinata a disperdere la famiglia e a distruggere per sempre tutto e tutti i suoi cari. Perché il figlio del defunto boss della droga brasiliano Hernan Reyes, Dante (Jason Momoa), è pronto a tornare alla ribalta per vendicarsi, dopo aver passato gli ultimi dodici anni ad elaborare un complesso piano per far pagare a Dom un prezzo troppo alto. Il complotto di Dante spingerà così la famiglia di Dom da Los Angeles alle catacombe di Roma, dal Brasile a Londra, dal Portogallo all’Antartide, costringendoli a stringere nuove alleanze con vecchi amici e nemici provenienti dal passato.

Indubbiamente, c’è una bella differenza che intercorre tra il successo di un singolo film e l’imponente mole di un franchise: ce lo ha insegnato la stessa settima arte con i vari James Bond, gli universi Marvel ed Ethan Hunt alle prese con svariate missioni impossibili (solo per citarne alcuni). Quando un singolo prodotto si trasforma in un brand di successo bisogna cavalcare l’onda alta e veloce del successo, alzando sempre di più l’asticella della qualità (e della creatività) per offrire al proprio pubblico di affezionati uno spettacolo totale, ambizioso, magniloquente ed iperbolico, in grado di stimolare il piacere retinico e la mente di chi guarda.

La saga di Fast & Furious, in particolare, sembra aver sposato il concetto stesso di iperbolico, incarnandolo progressivamente capitolo dopo capitolo: da un semplice film su auto e corse clandestine, il progetto ha cambiato volto fino a trasformarsi in una variazione sul tema dell’action post moderno contaminato con lo spionaggio, una rilettura urban e nazional popolare di sofisticate missioni, congegni impossibili ed imprese memorabili (quanto improbabili) compiute da un nutrito gruppo di protagonisti.

Un film rapsodico, frammentario e altalenante

E proprio quest’ultimo è il cardine di Fast & Furious, ciò che lo differenzia da un qualunque altro franchise a base di eroi, spie, adrenalina e missioni pericolose: la famiglia è tutto, solo insieme si può vincere contro le avversità. Un concetto reiterato in ogni buona occasione dalla sceneggiatura, che cerca sempre di mediare – nei limiti del possibile – la scrittura (dell’azione e della suspense) attraverso le immagini e i momenti più “intimi”, importanti per connotare emotivamente i personaggi conferendo loro una tridimensionalità non così facile da strutturare in un contesto così gigantesco, votato al puro entertainment.

Il precedente capitolo – Fast & Furious 9 – aveva già mostrato sullo schermo scene iperboliche davanti alle quali lo spettatore poteva solo sospendere la propria incredulità (vedere alla voce “auto sulla luna”), senza però perdere di vista il focus principale: intrattenere e divertire un pubblico il più ampio e variegato possibile. Questo Fast X, a fronte di una serie di intuizioni dal forte impatto cinematografico, sembra però mancare il treno della riuscita assicurata, sacrificando una visione d’insieme più completa in favore di una conclusione annunciata dal forte impatto mainstream.

In questo nuovo film tornano quasi tutti i personaggi che hanno attraversato la saga: pronti per l’addio, vengono richiamati all’appello gli storici volti, tra i quali spiccano il già citato Vin Diesel, ma anche Michelle Rodriguez, Charlize Theron, Tyrese Gibson, Chris “Ludacris” Bridges, Jason Statham, Jordana Brewster, Sung Kang, John Cena, Scott Eastwood, Nathalie Emmanuel ed Helen Mirren, accanto alle new entry Brie Larson, Alan Ritchson, Daniela Melchior, la leggendaria Rita Moreno (West Side Story) e Jason Momoa (Aquaman), mattatore assoluto di questo decimo episodio della serie.

Perché ormai è palese che l’interesse di sceneggiatori, regista (in questo caso Louis Leterrier) e crew non verte più sugli stessi personaggi e sulle loro (effimere) psicologie, quanto su una narrazione plot oriented che deve confluire in un finale memorabile, per soddisfare le aspettative soprattutto degli appassionati. Momoa, dal canto suo, calandosi nei panni di un villain macchiettistico e sopra le righe, figlio di un cinema d’intrattenimento lontano dalla complessità degli anti-eroi tragici, regala ritmo e smalto ad un film altrimenti rapsodico, frammentario e altalenante come lo sono le varie linee narrative intessute dalla sceneggiatura.

Vedere Fast X equivale ad un’abbuffata cinefila di rimandi e citazioni all’interno dell’universo della stessa saga, immergendosi nelle immagini che scorrono sullo schermo e che si trasformano, progressivamente, in tanti micro-film autonomi, corti indipendenti con protagonisti diversi e toni alternativi, contaminando via via l’action con la tensione, il dramma o l’umorismo. Una sceneggiatura, appunto, che fa del frammento la propria cifra stilistica sacrificando ciò che di buono caratterizzava la saga fin dagli esordi, ovvero il piacere dell’intrattenimento fine a se stesso. Trovare un modo per traghettare il progetto incontro ad un (lunghissimo) finale costa caro in termini di resa, integrità, ritmo ma soprattutto coerenza, perché questa volta le scene iperboliche non intrattengono ma rimangono sterili rappresentazioni grafiche, visioni pantagrueliche incapaci di sospendere, fino in fondo, l’incredulità dello spettatore (anche quando funzionano, come nel caso delle sequenze girate tra Roma, Genzano e Torino).

Fast X dimostra, quindi, come non sempre la sicurezza dei propri mezzi e, più in generale, una buona dose di auto-consapevolezza, possono salvare un progetto dal famoso “salto dello squalo”, ovvero quel limite estremo oltre il quale l’incredulità dello spettatore si risveglia di colpo, mutando lentamente nella consapevolezza amara dei trucchi, poco riusciti sullo schermo, di una macchina cinema al massimo delle proprie potenzialità.

Guarda il trailer ufficiale di Fast X

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Fast X, a fronte di una serie di intuizioni dal forte impatto cinematografico, sembra però mancare il treno della riuscita assicurata, sacrificando una visione d’insieme più completa in favore di una conclusione annunciata dal forte impatto mainstream. Vederlo equivale ad un’abbuffata cinefila di rimandi e citazioni all’interno dell’universo della stessa saga, immergendosi nelle immagini che scorrono sullo schermo e che si trasformano, progressivamente, in tanti micro-film autonomi; una sceneggiatura, appunto, che fa del frammento la propria cifra stilistica sacrificando ciò che di buono caratterizzava la saga fin dagli esordi, ovvero il piacere dell’intrattenimento fine a se stesso.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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Fast X, a fronte di una serie di intuizioni dal forte impatto cinematografico, sembra però mancare il treno della riuscita assicurata, sacrificando una visione d’insieme più completa in favore di una conclusione annunciata dal forte impatto mainstream. Vederlo equivale ad un’abbuffata cinefila di rimandi e citazioni all’interno dell’universo della stessa saga, immergendosi nelle immagini che scorrono sullo schermo e che si trasformano, progressivamente, in tanti micro-film autonomi; una sceneggiatura, appunto, che fa del frammento la propria cifra stilistica sacrificando ciò che di buono caratterizzava la saga fin dagli esordi, ovvero il piacere dell’intrattenimento fine a se stesso. Fast X, recensione del decimo capitolo della saga di Fast & Furious