C’è un motivo se nella metà del tempo in cui si sono sviluppati i film della saga di Star Wars il franchise di Fast & Furious è riuscito a guadagnare 5 miliardi e 700 milioni di dollari al botteghino, ovvero il 75% degli incassi realizzati dai nove film dell’universo partorito da George Lucas, al momento il franchise più redditizio della storia del cinema dopo il Marvel Cinematic Universe. Il motivo è compiutamente espresso in questo nono capitolo della saga di Fast & Furious, uscito a 20 anni esatti dal primo capitolo del 2001, dopo una serie infinita di rinvii dovuti prima allo spin-off con Dwayne “The Rock” Johnson e Jason Statham del 2019 (Hobbs & Shaw) e poi alle restrizioni causate dal Covid-19.
Il 18 agosto approda dunque nelle sale italiane, al termine di una lunga attesa, Fast & Furious 9, il film forse più “noioso” del “nuovo corso” inaugurato dal ritorno di Vin Diesel nel 2009 ma anche il più significativo dal punto di vista del concept che ha reso questa saga di macchine, ossido di diazoto, muscoli e tipi tosti un fenomeno planetario: la famiglia. Finora i film delle avventure di Toretto e soci ci avevano girato attorno, specie dopo la scomparsa di Paul Walker nel 2013, anima del franchise assieme a Vin Diesel nonché attore particolarmente amato da tutto il cast: la famiglia come unione di sangue inscindibile, come patto di solidarietà all’interno di un gruppo affiatato, come punto di approdo sicuro dalle intemperie e dai nemici. Ma è con il nono film che il concetto di famiglia in Fast & Furious trova la sua espressione più compiuta, andando finalmente a svelare il passato di Dominic Toretto, l’origine del suo temperamento burrascoso e il motivo per cui il personaggio interpretato da Vin Diesel sente in modo così viscerale la necessità del gruppo.
Se il consistente flashback nella biografia di Toretto è in fondo un prezioso espediente narrativo per introdurre il cattivo di turno, ovvero suo fratello Jakob (il granitico John Cena), collateralmente regala alla saga alcuni dei momenti più toccanti di sempre, con un notevole sforzo di sceneggiatura per collegare i nove film attraverso una rete di puntuali riferimenti e collegamenti. Niente che non sia già stato fatto dalla Marvel o da Star Wars, intendiamoci; eppure, nell’umanità travagliata e combattuta del nerboruto Vin Diesel c’è una simpatia, un affetto ormai generazionale in grado di differenziare questo franchise da quanto visto finora. Anche una semplicità di fondo (ironicamente evidenziata dagli stessi sceneggiatori in un imperdibile monologo quasi meta-diegetico di Roman Pearce, interpretato da Tyrese Gibson, a proposito dell’immortalità) che, a differenza di altre mega-produzioni, ricorda sempre allo spettatore di non prendere troppo sul serio ciò che sta vedendo perché, in fondo, ciò che conta è il divertimento, puro e sfrenato.
E qui, purtroppo, si nasconde anche il principale limite/difetto di Fast & Furious 9: tra tutti i film della saga, questo è senza dubbio (e ce ne vuole!) il più inverosimile, fantasioso e incoerente in termini di plot narrativo, con una spettacolarità incontrollata e irrealistica che nello sforzo di fare più dei precedenti film diventa assolutamente atrofica e, in ultima istanza, noiosa. Come spesso accade, il bolide cinematografico ha preso così tanta velocità da non essere più controllabile. Justin Lin, che ha firmato ben quattro capitoli del franchise (terzo, quarto, quinto e sesto film), contraddistintisi per essere degli ottimi action movie alla “Mission Impossibile”, torna alla regia dopo i tre “esperimenti” precedenti: la mano acrobatica di James Wan (Furious 7), il mestiere di F. Gary Gray (Fast & Furious 8) e i muscoli di David Leitch (Hobbs & Shaw).
Purtroppo, non prende spunto dal più in gamba dei suoi predecessori, quel James Wan autore di Saw – L’enigmista e The Conjuring che ha consolidato il miracolo Fast & Furious (un miliardo e mezzo di dollari di incasso per il suo film) con una pirotecnica misurata, sorprendente e mai schizofrenica, e si affida a una sequela di confusionarie tavole per portare avanti una storia poco avvincente e soprattutto vista e rivista anche per gli spettatori anagraficamente più giovani.
Il franchise di Toretto & soci, insomma, dopo nove film inizia inevitabilmente a mostrare consistenti segni di cedimento – le idee sono poche e poco valorizzate, i colpi di scena ininfluenti – che pongono non pochi dubbi sui prossimi due e già annunciati capitoli conclusivi della saga. La sensazione è che, come una macchina che ha esaurito il NOS già da un po’, si stia facendo di tutto pur di arrivare al traguardo finale, chiudendo le storyline aperte (meno una, The Rock non pare intenzionato a tornare in pista dopo gli screzi avuti con Vin Diesel) e capitalizzando le potenzialità del franchise fino all’osso. Speriamo che, alla fine di questa lunga corsa, la famiglia non si perda per strada…