Il 5 agosto arriva finalmente nelle sale italiane uno dei titoli più attesi di sempre dagli appassionati di cinecomics. Stiamo parlando di The Suicide Squad, che segna il debutto di James Gunn alla regia di un film di supereroi basato su una proprietà DC Comics. Gunn ha raggiunto la fama internazionale dopo aver diretto il primo Guardiani della Galassia nel 2014, impiegando il suo genio creativo al servizio di uno dei titoli del MCU più amati di sempre.
Quando la notizia del momentaneo licenziamento di James Gunn da parte dei Walt Disney Studios (nel bel mezzo dello sviluppo di Guardiani della Galassia Vol. 3) scosse letteralmente l’industria di Hollywood, nessuno si sarebbe mai aspettato che – nell’attesa del tanto auspicato reintegro – il regista, sceneggiatore e produttore statunitense venisse contattato dalla Warner Bros. e accettasse di realizzare un nuovo film basato sui personaggi di uno dei più grandi editori di fumetti del mondo. Sappiamo che Gunn ha discusso e valutato una moltitudine di progetti differenti con lo studio, ma alla fine ha scelto di riportare sul grande schermo la Squadra Suicida, il gruppo composto da numerosi criminali dell’universo DC, già protagonista del film di David Ayer del 2016 (Suicide Squad, appunto).
La scelta di James Gunn non dovrebbe sorprendere più di tanto, considerando che lo stile colorato, pittoresco e vivace del regista si associa alla perfezione con una galleria di personaggi assolutamente fuori da ogni schema e con un progetto che, sulla carta, deve risultare totalmente folle e anarchico. Chiaramente, definire altissime le aspettative dei fan in merito al film è usare un mero eufemismo, quindi togliamoci subito il dente: The Suicide Squad è il film che metterà d’accordo fan di Gunn e appassionati dei fumetti DC, ma anche quel titolo pronto a ribaltare le sorti di un universo cinematografico che, nel corso degli anni, ha faticato a trovare una propria identità, un autentico spartiacque dopo il quale nulla – in termini narrativi e stilistici – potrà essere più come prima (o almeno, è quello che ci auguriamo).
James Gunn mette i criminali della Task Force X al centro di una missione viscerale e sfrenata, che mescola azione, violenza, spargimenti di sangue e situazioni al limite della sopravvivenza. È palese che al regista e sceneggiatore non sia stato imposto alcun tipo di limite o vincolo alla sua creatività: Gunn fa semplicemente ciò che vuole, né più né meno, dimostrando di amare alla follia questi personaggi incredibili, dei quali si serve per costruire una storia dotata sì di un umorismo irriverente, ma anche di momenti sorprendentemente intimi, tutti filtrati attraverso la visione unica, singolare di Gunn.
Forse, al di là della dissacrante parata carnevalesca che James Gunn riesce a mettere in scena e che, ovviamente, si traduce in più momenti di particolare esuberanza che sono non solo un omaggio ai suoi esordi splatter con la Troma Entertainment, ma anche garanzia di ottimo cinema di intrattenimento, la cosa che più colpisce di questa nuova iterazione della Squadra Suicida è proprio l’attenzione che il regista (autore anche della sceneggiatura) pone nei confronti di ognuno di questi delinquenti degenerati: Gunn porta sullo schermo il suo dream team riuscendo a dare ad ognuno di questi antieroi lo spazio che merita, aprendo e chiudendo di continuo, nel corso dei 132 minuti di durata, delle piccole finestre sulle loro vite, permettendo finalmente al pubblico di conoscere meglio questi supercriminali che, alla fine, non sono altro che persone che hanno fatto scelte sbagliate e che cercano solo un’opportunità per riscattarsi, una possibilità di redenzione.
James Gunn è come un bambino in un negozio di caramelle, che riesce a sfruttare appieno una struttura narrativa inattaccabile per giustapporre l’iperrealismo delle sequenze più action (esaltante anche questa volta da una colonna sonora funzionale) agli aspetti più realistici (ma non per questo meno grintosi o d’impatto) della storia, che riguardano – appunto – la capacità (per non dire sensibilità) del regista di trattare questi outsiders che rappresentano l’umanità in tutti i suoi vari gradi di moralità come “persone”, regalando loro il giusto spessore.
Ovviamente, Gunn è un regista a cui piace giocare seguendo le sue regole e non quelle imposte dal politically correct. Aveva promesso che ogni singolo personaggio, a prescindere dalla sua notorietà, sarebbe stato in serio pericolo, e questo è ciò che ha realmente stabilito: in una storia che si muove avanti e indietro nel tempo in maniera arbitraria (e sulla quale il regista dimostra di possedere il controllo assoluto), sarà quasi impossibile per lo spettatore cercare di capire chi sopravvivrà e chi no. Nessuno è al sicuro e Gunn lo rende chiaro fin dai primissimi minuti del film, pronto a spiazzare lo spettatore e a travolgerlo in un “gioco al massacro” tanto sorprendente quanto divertente.
James Gunn si arma di un tubo di coriandoli ed è pronto a spararcelo in pieno viso, confezionando il blockbuster estivo perfetto e, al tempo stesso, uno dei migliori cinecomic DC in assoluto. Il gusto per la narrazione incalzante e per l’estetica accattivante, insieme a tutte le intuizioni, a tutto l’estro e a tutta la profonda conoscenza del materiale di partenza, si sposano alla perfezione con il bisogno di restituire “dignità” non solo ai personaggi più bizzarri e disfunzionali della grande famiglia DC, ma anche ad un universo cinematografico in attesa da troppo tempo ormai della sua occasione di riscatto.