Fortunata è il titolo dell’ultimo film diretto dall’attore – e regista – Sergio Castellitto su una sceneggiatura della moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini.
Dopo un fortunato passaggio all’ultima edizione del Festival di Cannes che ha decretato la vittoria, nella sezione Un Certain Regard, della protagonista Jasmine Trinca (premiata come Miglior Interpretazione), il film ha anche vinto tre Nastri d’Argento su sette candidature ricevute (tra i premiati: ancora la Trinca come Miglior Attrice Protagonista, Alessandro Borghi come Miglior Attore Non Protagonista e il Miglior Sonoro in Presa Diretta).
Fortunata (Trinca) è una “Mamma Roma” moderna che vive nella periferia viva, pulsante, sofferente di Roma. Ha alle spalle un matrimonio fallito con Franco (Edoardo Pesce) che le ha lasciato innumerevoli ferite interiori, una figlia amatissima quanto complicata e un sogno nel cassetto: aprire un negozio da parrucchiera insieme al suo amico Chicano (Borghi), ragazzo bipolare con madre mentalmente instabile (Hanna Schygulla).
Ma vari ostacoli si frappongono tra Fortunata e il suo sogno: il ritorno insistente del marito violento che si batte per la custodia della figlia, come pure la comparsa dello psicologo Patrizio (Stefano Accorsi), non fanno altro che allontanare, sempre di più, la donna dal suo sogno di felicità e indipendenza.
Come una novella “Mamma Roma”, la Trinca restituisce il ritratto completo e vibrante di una donna che soffre, che lotta per affermarsi, cercando di superare le ferite del passato in un contesto tanto difficile quanto doloroso e faticoso
Fortunata segna un buon ritorno alla regia per Castellitto, dopo le altalenanti fortune di Nessuno Si Salva da Solo (2015): per la nuova fatica, l’attore scegli di tornare a collaborare con la moglie partendo da una sceneggiatura originale, nata per il grande schermo.
La protagonista che porta sul grande schermo è davvero una versione moderna – e 2.0 – delle figure femminili che popolavano la letteratura ottocentesca (come la Madame Bovary di Flaubert) o il cinema pasoliniano degli anni ’60: come una novella “Mamma Roma”, la Trinca restituisce il ritratto completo e vibrante di una donna che soffre, che lotta per affermarsi – ma soprattutto per affermare i propri ideali – cercando di superare le ferite del passato in un contesto tanto difficile quanto doloroso e faticoso.
Fortunata recensione del film di Sergio Castellitto con Jasmine Trinca
Intensa quanto “vera”, la Trinca mette le proprie capacità attoriali al servizio della storia e dei personaggi, creando una sorta di empatia osmotica con il microcosmo nel quale vive la donna omonima del titolo. È lei, proprio Fortunata, il motore immobile intorno alla quale ruota l’intero universo architettato dalla coppia Castellitto-Mazzantini.
Non ci sono altre donne forti che possano sottrarle lo scettro di “attrice alla ribalta” sul palcoscenico della vita; l’unica che può insidiare il suo ruolo di dolente madre capitolina è la figlia, ancora troppo piccola per poter diventare un catalizzatore naturale di energie. Intorno a Fortunata si muovono degli uomini, uomini diversi tra loro, ma accomunati quasi tutti dagli stessi spettri: lo psicologo troppo fragile, il marito insicuro e violento, l’amico dolente quanto prezioso e delicato.
Intensa quanto “vera”, la Trinca mette le proprie capacità attoriali al servizio della storia e dei personaggi, creando una sorta di empatia osmotica con il microcosmo nel quale vive la donna omonima del titolo
A parte Accorsi – qua nei panni di una sorta di transfert naturale dello psicologo interpretato da Castellitto nella serie In Treatment – una “menzione speciale” spetta a Edoardo Pesce e Alessandro Borghi, che si calano rispettivamente con rabbia e malinconia nei panni di due esseri umani scomodi prima ancora che personaggi, restituendo due ritratti talmente intensi e credibili da poter competere con la forza femminile sprigionata dall’incarnazione della Trinca.
In questo universo popolato da volti e persone, la regia però non riesce a tenere il passo dell’intensità dei legami umani: l’occhio meccanico di Castellitto è talvolta troppo tecnico e talvolta troppo distante, incapace di liberarsi dai formalismi che lo imprigionano imbrigliando, di conseguenza, anche la potenza espressiva di emozioni universali.