Il femminino è un universo complesso: sfaccettato, forse ancora sconosciuto, per troppo tempo relegato a dei ruoli archetipici nei quali incanalarlo. Donna, moglie, madre, figlia, amante, santa, strega, frigida, “donna di facili costumi”… sono tante le maschere dietro le quali nascondere l’Io femminile, depotenziandolo fino a svuotarlo della propria forza rivoluzionaria che si annida in alcuni fattori specifici: la capacità di adattamento, la resilienza e l’arte di adattarsi al cambiamento, reinventandosi ogni volta.
Tante sfumature diverse del femminile che Paola Cortellesi ha cercato di rappresentare attraverso il suo esordio dietro la macchina da presa, intitolato C’è ancora domani: un dramma storico, un’opera che occhieggia al neorealismo tipicamente italiano, una commedia amara, un dramma d’interni… il film è tutto questo e molto altro. Perché la sua forza si annida proprio nella capacità di raccontare il presente filtrandolo attraverso la lente del passato più recente, immortalato in un momento cruciale, ovvero i primi giorni del giugno 1946.
Immaginare un futuro migliore
L’esordio alla regia di Paola Cortellesi – film d’apertura della 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma – vede protagonista Delia (interpretata dalla stessa Cortellesi), moglie di Ivano (Valerio Mastandrea), nuora di Ottorino (Giorgio Colangeli) e madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni ’40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano è capo supremo e padrone della famiglia, lavora duro per portare i pochi soldi a casa e non perde occasione di sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre, direttamente con la cinghia.
Con l’arrivo della primavera tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella (Romana Maggiora Vergano), che, dal canto suo, spera solo di sposarsi in fretta con un bravo ragazzo di ceto borghese e liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante. Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. Ma l’arrivo improvviso di una lettera misteriosa le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.
C’è ancora domani è un esordio sorprendente, perché nonostante delle pennellate talvolta disorganiche (forse figlie di troppe ambizioni riposte in un “tempo piccolo” come quello di un unico film), la sofisticata interprete romana riesce a condensare un racconto denso di significati, importante (e militante), manifesto dei cambiamenti che pian piano stanno animando i nostri tempi.
Dal punto di vista registico – che è quello più evidente e tecnico, insieme alla sceneggiatura firmata dalla stessa attrice insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda – le scelte estetiche compiute dalla Cortellesi (insieme al direttore della fotografia Davide Leone e al resto del reparto tecnico) dimostrano di avere una grande personalità, nonché una visione d’insieme chiara fin dal principio, animata dalla volontà di raccontare una storia non solo attraverso le parole, ma sfruttando il potenziale narrativo delle immagini.
Scelte ardite, coraggiose, ricercate, volute; un formato in 4:3, determinate inquadrature per immortalare un momento specifico piuttosto che un altro, il bianco e nero: la direzione sembra essere quella dell’omaggio sentito alla tradizione del cinema neorealista, con la scelta dei caratteri dai volti giusti (tutti gli interpreti, soprattutto i protagonisti Mastandrea, Colangeli, Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli – vincitrice del David di Donatello per Siccità – e Vinicio Marchioni) per mostrare le storie (vere) di un’Italia che fu eppure mai così attuale.
Perché ciò che emerge con forza, è che il patriarcato opprimente è figlio di un’impostazione culturale che attraversa trasversalmente la società, e che per cambiarlo non bastano i sacrifici; piuttosto, servono le rivoluzioni silenziose ma dal forte impatto, piccoli gesti capaci di cambiare le sorti del futuro, costruendo una nuova strada da lastricare con i diritti ottenuti, un passo alla volta. In C’è ancora domani la Cortellesi regista – e perfetta interprete nei panni della protagonista Delia – contamina il neorealismo con tocchi di “realismo magico astratto” che trasfigura l’evidenza più drammatica, inclinando l’asse narrativo nella direzione di un’eleganza leggera e metafisica, popolata anche di contrasti stridenti che proiettano lo spettatore su un ottovolante emotivo, in bilico tra emozioni forti e dirompenti.
Un’ode alla conquista dell’indipendenza femminile
Ed ecco quindi che la realtà viene contaminata da un tocco surreale che, a tratti, fa irruzione nell’eleganza impeccabile del bianco e nero, accostando passato e presente fino a intrecciarne i fili, strapazzando il concetto stesso di tempo. Ne è una dimostrazione la scelta – affascinante e d’effetto – di inserire nella colonna sonora standard del passato e pezzi contemporanei, dalla grana grossa del rock anni ’70 al cantautorato odierno (che porta la firma di Daniele Silvestri).
Senza rivelare troppo (per non sciupare scelte drammaturgiche ben congegnate e specifiche), l’ode alla conquista dell’indipendenza (e dell’emancipazione) femminile costituita da C’è ancora domani trova come unico, piccolissimo ostacolo – depotenziante – proprio la curiosa scelta di creare una miscellanea di generi, suggestioni e input che lo rendono leggermente disorganico, sbilanciato e poco integro nel proprio sviluppo narrativo, ma non per questo meno efficace nel veicolare i messaggi importanti di cui si dichiara, orgogliosamente, portatore sano.
Un esordio ricercato che riannoda i fili della tradizione mantenendo lo sguardo fisso verso il futuro, raccontando un femminile ben noto ma non per questo meno inedito, anzi, in cerca di una voce capace di evocarlo, spettro (del Natale passato) che torna a bussare alla porta del presente, rivendicando con forza (gentile) i propri diritti, conquistati con dolore e sacrificio.