Shining, La Febbre del Sabato Sera, Ritorno al Futuro: questi sono solo alcuni film che Ready Player One, ultimo lungometraggio di Steven Spielberg, omaggia e rielabora. Un film nostalgico, dunque, che – tra citazioni e richiami alla cultura pop – si costruisce come un affresco variopinto del mondo degli anni Ottanta, riletto alla luce di un futuro distopico.
Passato e presente sembrano quindi coesistere nelle disavventure di Wade Watts (Tye Sheridan), un ragazzo del 2025 che vive nella baraccopoli della città di Colombus. Così come tutti gli abitanti della terra, Wade si rifugia in un mondo virtuale chiamato OASIS, ideato a seguito di una serie di catastrofi ambientali che hanno reso poco accogliente la realtà quotidiana. Alla morte del creatore, una gara ha inizio: chi troverà tre chiavi misteriosamente inserite in OASIS potrà ereditare l’intero universo digitale.
Fin dalle prime sequenze, il visionario ritratto realizzato da Steven Spielberg intreccia realtà e fantasia, mettendo contemporaneamente in crisi la natura delle due istanze stesse: il micro-cosmo videoludico sembra infatti sostituirsi alla realtà che gli si contrappone, interagendo con essa ma prendendone un equilibrato sopravvento.
Lo sguardo sapiente di Spielberg si muove in realtà plurali ma convergenti che, in una costante trasformazione, interagiscono e si minano a vicenda, spesso fondendosi in una realtà-terza. I temi cari al regista statunitense – almeno nella sua filmografia più fantascientifica – sembrano tornare con pienezza, riprendendo e ripensando un discorso già iniziato da A.I. Intelligenza Artificiale e Minority Report.
Ready Player One recensione del film di Steven Spielberg
In Ready Player One (qui il trailer italiano ufficiale) ci si sta pertanto confrontando con un film intrinsecamente spielberghiano, sia nei temi sia nelle forme. Se infatti la realtà dell’irreale si pone come elemento cardine dell’intera narrazione, anche i dettagli più tecnici della rappresentazione richiamano l’estetica del cineasta. Puntellato da un ritmo perfettamente calibrato, il lungometraggio presenta anzitutto sequenze ipnotiche e coinvolgenti, dove immagini e musica si fondono in modo straordinario.
Questa non è sicuramente una novità per Spielberg che, tra i suoi pregi, è sempre stato capace di giocare con le emozioni degli spettatori, realizzando pellicole con cui era difficile non riuscire ad immedesimarsi. Come si è detto, a favorire ciò in questo caso è però anche la colonna sonora che, nuovamente dal sapore vintage, presenta tracce dei Depeche Mode, dei Van Halen, degli A-Ha e di altre note band degli anni Ottanta.
Accanto alla storia e alla messa in scena, è tuttavia un terzo elemento quello vincente: così come detto all’inizio, il vero punto di forza della produzione è lo sfacciato e dirompente citazionismo. Dal cinema di genere a quello d’autore, dai primi videogiochi Nintendo agli anime giapponesi, il film di Spielberg è prima di ogni altra cosa un film sul nostro passato, che tenta – almeno per un’ultima volta – di ritornare.
Rifacendosi alla cultura popolare tout court, Ready Player One è quindi un affresco nostalgico ma estremamente attuale, che intreccia perfettamente presente e passato. In tal senso, la citazione diventa il centro focale della storia che, grazie allo stile ormai iconico di Steven Spielberg, prende vita come in un sogno ad occhi aperti.