domenica, Giugno 4, 2023
HomeRecensioniLe Otto Montagne, recensione del film con Alessandro Borghi e Luca Marinelli

Le Otto Montagne, recensione del film con Alessandro Borghi e Luca Marinelli

La recensione de Le Otto Montagne, il nuovo film di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch con Alessandro Borghi e Luca Marinelli. Dal 22 dicembre al cinema.

Il concetto stesso di montagna ha una duplice valenza: può tanto unire, nel silenzio dei suoi sentieri poco battuti, quanto separare se considerata come un invalicabile ostacolo. E Paolo Cognetti, autore milanese classe ’78, sembra conoscere molto bene questo aspetto e gli ulteriori segreti che le montagne custodiscono, con misteri sussurrati al vento e rivelati solo ai pochi eletti che sanno ascoltare, in silenzio.

Le Otto Montagne, il suo romanzo, fu insignito del prestigioso Premio Strega nel 2017 e oggi diventa invece un film omonimo diretto dal belga Felix van Groeningen (lo stesso di Alabama Monroe – Una storia d’amore e Beautiful Boy) e dalla compagna Charlotte Vandermeersch, e interpretato da una delle coppie d’attori più belle del cinema italiano, quella costituita da Alessandro Borghi (Supereroi) e Luca Marinelli (Diabolik), che tornano insieme sullo schermo (ben sette anni dopo l’exploit di Non essere cattivo) a partire dal 22 dicembre.

Il film – che ha ricevuto il Premio della Giuria durante la scorsa edizione del Festival di Cannes – racconta la storia di un’amicizia inossidabile nata tra due bambini che, divenuti uomini, cercano di prendere le distanze dalla strada intrapresa dai loro padri ma, per le vicissitudini e le scelte che si trovano ad affrontare, finiscono sempre per tornare sulla via di casa. Pietro (Marinelli) è un ragazzino di città, mentre Bruno (Borghi) è l’ultimo bambino di uno sperduto villaggio di montagna. Negli anni, Bruno rimane fedele alle sue montagne, mentre Pietro è quello che va e viene. Il loro incontro li porterà a sperimentare l’amore e la perdita, riconducendo ciascuno alle proprie origini e facendo sì che i loro destini si compiano, mentre i due scopriranno cosa significa essere amici per sempre.

In un mondo che corre veloce incontro al progresso e ad un futuro (talvolta dalle sfumature autodistruttive), il romanzo di Cognetti e, di conseguenza, il film omonimo sono un invito a rallentare, a recuperare un respiro e una dimensione più filosofica dell’esistenza. “Le Otto Montagne” a cui fa riferimento il titolo indicano un percorso, da contrapporre alla staticità di chi sceglie invece di restare sul monte Sumeru, posto al centro di questo immaginario cerchio magico che si snoda intorno al mondo.

Alla fine del viaggio, chi è l’uomo più felice e appagato? Colui che si è mosso in lungo e in largo, oppure chi ha scelto – fino alla fine – di restare ancorato alle radici? Una premessa che anticipa alcuni degli argomenti cardine del film, pilastri che puntellano il percorso di vita compiuto da Pietro e Bruno come i punti fermi di un sentiero, pronto a mostrar loro il percorso da seguire senza mai smarrire la giusta via.

Un realismo che infrange l’illusione dello schermo

La ricerca di se stessi e del proprio posto nel mondo; ma anche il ruolo dei figli e dei genitori, il rapporto che intercorre tra i padri e la propria prole, l’amore, l’eterno conflitto tra natura e città, il ruolo – e il peso – della morte nella nostra quotidianità e nelle differenti culture… Le Otto Montagne sfida l’impossibile e non tradisce la propria identità letteraria, “scomodando” tutti questi macro-argomenti nel corso della sua imponente durata (2 ore e 27 minuti); ma il film è prima di tutto un’elegia delle piccole cose che suggellano un’amicizia eterna, larger than life, in grado di valicare gli ostacoli dell’esistenza.

L’affetto che lega Pietro e Bruno, così diversi eppure affini, è puro e incontaminato come i paesaggi che l’hanno visto sbocciare, ma anche silenzioso e solerte come il carattere plasmato dalle asperità stesse della montagna. Nei loro silenzi e nel rispettoso ascolto reciproco c’è il segreto dell’eternità che cristallizza questa storia trasformandola in un archetipo antico e moderno, nuovo tassello di una narrazione arcaica che da sempre accompagna l’uomo alla ricerca di storie da raccontare.

Questa complessità tematica – figlia del romanzo da cui è tratto il film – riesce ad essere veicolata fin nel suo adattamento audiovisivo, ma pagando un prezzo alto in termini di “traduzione”: i linguaggi dei due media – narrativa e cinema – sono diversi, e una sceneggiatura che eredita la voce narrante (escamotage fin troppo comune nell’industria cine-televisiva italiana odierna) per sottolineare i passaggi più lirici e importanti sembra mancare l’appuntamento con la post-modernità, con la capacità stessa di adottare linguaggi diversi per raccontare la medesima storia, edificando immaginari nuovi a partire da mondi apparentemente distanti (e distinti).

La regia di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch è lirica e realistica allo stesso tempo, compie delle scelte coraggiose in termini tecnici (il 4:3 al posto del Cinemascope dal sapore panoramico), si sforza di svelare l’anima dietro i silenzi, gli sguardi e i gesti ma… non basta. Non basta per raccontare l’epopea di due vite, due esistenze intrecciate, che si snodano nell’arco di un film nel quale succede tutto e, contemporaneamente, niente, mostrando ogni singolo momento, senza tener conto del ritmo e del tempo che sono l’essenza stessa del montaggio e dell’intrattenimento, la grande magia alla base del cinema.

Con Le Otto Montagne quell’incantesimo chiamato sospensione dell’incredulità, che permette di sedurre lo sguardo dello spettatore fino a trascinarlo nel cuore di una storia, sembra latitare a favore di un realismo estremo che trasforma il cinema in vita reale, con i suoi tempi morti e le attese gravide di cambiamenti, infrangendo l’illusione dello schermo d’argento. A conservare intatta la magia è però la coppia costituita da Alessandro Borghi e Luca Marinelli, amici nella realtà quanto nella finzione: le loro carriere sono decollate, hanno interpretato ruoli diversi, ma ritrovarli insieme ne Le Otto Montagne riannoda i fili del destino, del passato e del presente, donando a Bruno e a Pietro una verità carnale che altrimenti non avrebbero mai avuto.

In tal modo, i due protagonisti acquistano una tridimensionalità scolpita dai chiaroscuri delle idiosincrasie, diventano più complessi, interessanti e sfaccettati, dimostrando anche quanto siano cresciuti i due interpreti dal punto di vista tecnico, ormai capaci di diventare “altro da sé” pur rimanendo sempre loro stessi, in un malinconico cortocircuito comunicativo con la realtà stessa.

Guarda il trailer ufficiale de Le Otto Montagne 

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Con Le Otto Montagne quell’incantesimo chiamato sospensione dell’incredulità, che permette di sedurre lo sguardo dello spettatore fino a trascinarlo nel cuore di una storia, sembra latitare a favore di un realismo estremo che trasforma il cinema in vita reale, con i suoi tempi morti e le attese gravide di cambiamenti, infrangendo l’illusione dello schermo d’argento.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

RECENTI

- Advertisment -
Con Le Otto Montagne quell’incantesimo chiamato sospensione dell’incredulità, che permette di sedurre lo sguardo dello spettatore fino a trascinarlo nel cuore di una storia, sembra latitare a favore di un realismo estremo che trasforma il cinema in vita reale, con i suoi tempi morti e le attese gravide di cambiamenti, infrangendo l’illusione dello schermo d’argento.Le Otto Montagne, recensione del film con Alessandro Borghi e Luca Marinelli