Matt Ross è, prima di tutto, un attore. Passato con disinvoltura dal cinema mainstream hollywoodiano di qualità alla serialità d’alto livello, si cimenta da sempre anche come sceneggiatore e regista. Solo dopo una manciata di cortometraggi e l’indipendente 28 Hotel Rooms, approda sul grande schermo con il suo secondo lungometraggio, riscuotendo fin da subito successo di pubblico e critica. Stiamo parlando di Captain Fantastic, da lui scritto e diretto con protagonista un istrionico Viggo Mortensen affiancato da un cast di giovanissimi (nei panni dei suoi figli) e di navigati professionisti (come Frank Langella, nei panni del suocero), tutti pronti a creare un’alchimia perfetta che ha portato il film a trionfare al Sundance Film Festival 2016, al Festival di Cannes 2016 e a vincere, ad esempio, la scorsa edizione della Festa del Cinema di Roma in base al consenso popolare.
Captain Fantastic non è solo la storia di Ben: è Ben, padre amorevole che decide di allevare da solo i sei figli nel folto di una foresta del Pacifico Nord- Occidentale. Tenendoli lontani dagli stimoli nefasti del mondo esterno, cerca di far crescere la propria progenie infondendo loro i sani valori legati alla natura, creando un rapporto di simbiosi con quest’ultima. Quando la splendida moglie, psichicamente instabile e lontana da quell’utopia, si suicida, l’uomo è costretto ad affrontare il durissimo scontro con la realtà, affrontandola di petto e trascinando nel suo viaggio verso la civiltà anche i ragazzi da sempre all’oscuro delle strane logiche del mondo.
Ross, nonostante sia un regista “quasi” esordiente, riesce a dirigere l’indie che non ti aspetti: crudele, diretto, asciutto ma poetico come solo i sogni sanno essere. Captain Fantastic non è altro che la ballata malinconica e “tristemente allegra” dedicata ad un utopista, un uomo – Ben – che ha cercato da sempre di rincorrere un proprio grande sogno vedendosi però alla fine costretto a scegliere. E non si tratta di una decisione facile, visto che la discriminante è determinata dall’amore che lo lega ai propri figli: è, quest’ultimo, talmente grande e forte da consentire ad un uomo l’eutanasia di un ideale nel quale ha sempre creduto e nel quale ha investito la sua intera vita?
La dramedy indie di Ross prova a fornire una risposta al quesito, e ci prova attraverso la forza e la potenza evocativa delle immagini e delle interpretazioni, vibranti ed appassionati: si vede il divertimento, si respira la libertà e la coesione che gli attori devono aver instaurato sul set, e anche lo spettatore ne risulta gratificato, sentendosi per circa 118 minuti parte di un’utopia e di una famiglia più grande della realtà stessa, anche quando quest’ultima è in grado di vanificare qualunque sforzo compiuto dal sogno.