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Una Serie di Sfortunati Eventi Stagione 1 recensione

Una Serie di Sfortunati Eventi
Articolo a cura di Joseph Crisafulli

Una Serie di Sfortunati Eventi offre l’opportunità di chiarire quali siano le potenzialità di una serie televisiva, ma soprattutto dimostra come la stessa storia possa essere resa diversamente a seconda del medium scelto.

La serie tv Una Serie di Sfortunati Eventi, tratta dall’omonimo ciclo di tredici romanzi best seller scritti da Daniel Handler sotto lo pseudonimo di Lemony Snicket, propone in otto episodi le trame dei primi quattro libri della saga. La struttura della serie permette così di far corrispondere ad ogni coppia di episodi la storia di un romanzo; dopo ogni due episodi quindi cambia l’ambientazione e il cast di contorno. Questa scelta è decisamente interessante, configurando il prodotto come una sorta di quattro film divisi tra un primo e un secondo tempo.

Il respiro seriale avvicina quest’opera alla controparte cartacea, di fatto c’è una vera e propria fusione tra serie e romanzo; tutto viene ampliato, dalla trama all’attenzione per i personaggi secondari e tutto è arricchito da numerosi e letterari giochi di parole. É divertente osservare la lucidità con cui viene infranta la quarta parete, vengono addirittura spiegati i meccanismi narrativi. Una stravaganza che mostra come sia stato consapevole e intelligente l’approccio dei creatori della serie, i quali intrattengono il pubblico con un gioco di linguaggi e meta linguaggi a più livelli. Una virtù nata dalla necessità di doversi confrontare per tre quarti della trama con l’omonimo film uscito nel 2004 e che vedeva Jim Carrey nei panni del Conte Olaf.

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Rispetto al film (che riprende solo i primi tre romanzi e coincide strutturalmente con i primi 6 episodi), nella serie si ride soprattutto per le trovate argute, come la meta-narrazione o i riferimenti al nostro quotidiano, la rivelazione dei cliché e il loro disinnesco; nel film la risata era in qualche modo catalizzata quasi esclusivamente dalla figura esuberante di Jim Carrey.

Se da un lato la versione cinematografica ha per sua stessa natura una dimensione più spettacolare, dall’altro la versione seriale riesce a mantenere una stabilità narrativa migliore; inoltre i meccanismi della serialità permettono di operare un machiavellico colpo di scena, ovvero quello legato ai personaggi interpretati da Cobie Smulders e Will Arnett, capace di sorprendere anche lo spettatore più preparato.

Tra il Conte Olaf di Neil Patrick Harris e quello di Jim Carrey non può dunque esserci un vero vincitore, poiché sebbene si parli della stessa storia e dello stesso personaggio, l’approccio è molto differente e rispecchia emblematicamente la differenza tra cinema e serialità.

Una Serie di Sfortunati Eventi vince già solo per la sua sigla (ascoltatela rigorosamente in lingua originale cantata dallo stesso Neil Patrick Harris), e anche se ci ripetono di “non guardare” e lo stesso Lemony Snicket (Patrick Warburton) ci intima di non continuare a seguire le sofferenze degli orfani Baudelaire, noi rimaniamo incollati a quei fondali (sintesi tra Wes Anderson e Tim Burton) in attesa della seconda stagione.

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