Tutta la luce che non vediamo è la nuova miniserie drammatica, disponibile su Netflix a partire dal 2 novembre, tratta dall’omonimo romanzo scritto da Anthony Doerr, vincitore del premio Pulitzer per la narrativa.
Un adattamento che mette in campo un dream team creativo, composto dallo sceneggiatore britannico Steven Knight (al cinema ha collaborato con registi del calibro di Stephen Frears e David Cronenberg, rispettivamente in Piccoli affari sporchi e ne La promessa dell’assassino, per poi trovare il grande successo sul piccolo schermo con la serie Peaky Blinders) e dal regista canadese Shawn Levy (una delle menti dietro al fenomeno Stranger Things, nonché autore degli ultimi exploit cinematografici di Ryan Reynolds, come Free Guy – Eroe per gioco), cofirmatari di tutti e quattro gli episodi della serie.
La trama di Tutta la luce che non vediamo
Siamo nel 1944, nella cittadina francese sull’oceano di Saint-Malo la giovane cieca Marie (Aria Mia Loberti) trasmette clandestinamente messaggi radio in codice per fornire agli alleati le coordinate dei bersagli da colpire. L’ascolta anche il soldato tedesco Werner Pfennig (Louis Hoffman), avvezzo, sin da bambino, a sintonizzarsi su quelle frequenze per seguire le trasmissioni sulla verità e sulla bellezza del misterioso Professore, personaggio che ora sembrerebbe scomparso nel nulla.
Werner, incantato dalla voce della ragazza, fa di tutto per nascondere ai suoi superiori la presenza delle sue trasmissioni; ma sulle tracce di Marie c’è anche lo spietato ufficiale nazista Reinhold von Rumpel (Lars Eidinger). Lo scopo di Von Rumpel è quello di trovare la gemma Mare di fiamma, trafugata da un museo parigino dal padre della giovane, Daniel LeBlanc (Mark Ruffalo), prima che i tedeschi potessero impossessarsene. Leggende attribuiscono alla pietra straordinarie proprietà curative, capaci di donare, a chi la possiede, addirittura la vita eterna.

“C’era una volta nella Francia occupata dai nazisti”. La frase con cui si apre Bastardi senza gloria, pellicola diretta da Quentin Tarantino, calza a pennello anche a Tutta la luce che non vediamo: una miniserie dall’ambientazione storica verosimile, ma dai toni innegabilmente fiabeschi. A tratti si ha l’impressione di assistere ad uno dei film storico-fantastici di Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno, The Shape of Water), ma senza qualsivoglia deriva sovrannaturale e/o orroristica (non aspettatevi alcuna esplicita manifestazione ultraterrena).
Una dolcissima principessa e un improbabile principe
Una fiaba con protagonisti una dolcissima principessa e un improbabile principe guidati, durante tutta la loro travagliata vita, dall’incoraggiante voce di un mago, che viaggia attraverso l’etere dispensando messaggi di saggezza e speranza.
Completano il quadretto gli antagonisti: un gruppo di nazisti dalla malvagità prominente e spesso sopra le righe, discendenti di una lunga stirpe di cattivi hollywoodiani (il maggiore Arnold Toht de I predatori dell’arca perduta, il colonnello Hans Landa del sopraccitato Bastardi senza gloria). Spicca il main villain Von Rumpel, che usa i suoi attrezzi da gioielliere come strumenti di tortura, un po’ come faceva con quelli da dentista il sadico dr. Szell, interpretato da Laurence Olivier ne Il maratoneta.
Tutta la luce che non vediamo è una visione indubbiamente piacevole, capace di toccare lo spettatore con la dolcezza e l’innocenza dei suoi protagonisti. Una miniserie che sa mostrare anche i muscoli dal punto di vista dei suoi valori produttivi (la folle corsa sotto i bombardamenti dell’ultimo episodio), rivaleggiando con altre opere televisive di prestigio, sempre ambientate durante la Seconda guerra mondiale, come Band of Brothers – Fratelli al fronte e The Pacific.