domenica, Marzo 26, 2023
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The Watcher, recensione della miniserie di Ryan Murphy

La recensione di The Watcher, miniserie di Ryan Murphy basata su una storia vera, con Naomi Watt e Bobby Cannavale. Disponibile su Netflix dal 13 ottobre.

Mai inimicarsi un vicino di casa. Sembra essere questa la morale di The Watcher, miniserie in 7 episodi (disponibili su Netflix a partire dallo scorso 13 ottobre), da subito in cima alla classifica dei più visti, anche in virtù dell’ingombrante mente creativa che l’ha concepita. Senza darsi il tempo di riporre il costume da profiler, recentemente indossato per delineare l’ennesimo ritratto cinematografico del serial killer Jeffrey Dahmer, Ryan Murphy si appropria di un altro caso true crime. Correva l’anno 2014 quando la quiete di un borghesissimo quartiere del New Jersey venne turbata dal caso dell’Osservatore di Westfield, raccontato poi dal giornalista Reeves Wiedeman sulle pagine del New York Magazine. Ad oggi, il misterioso stalker che perseguitò con lettere anonime la famiglia Broaddus, rea di avere acquistato una sfarzosa villa immersa nelle campagne del Garden State, resta ancora impunito.

Ryan Murphy, affiancato ancora una volta dallo storico collaboratore Ian Brennan, mette in atto un’operazione coraggiosa, assumendosi in primis il rischio di deludere i fan dell’ultima ora, reduci dalla visione di Dahmer e attratti da The Watcher sulla base dell’erronea aspettativa che le due opere siano in qualche modo sovrapponibili. D’altro canto, The Watcher potrebbe risultare più gradito agli ammiratori di vecchia data, per quanto a loro volta esposti ad un certo grado di perplessità. Questo accattivante prodotto pop si impone infatti come stravagante sintesi tra le atmosfere realistiche di American Crime Story e quelle fantastiche di American Horror Story. Il carattere ibrido della miniserie, con il suo perpetuo ondeggiare tra serio e faceto, ne fa un’opera più complessa di quello che sembrerebbe a primo acchito e quindi di più difficile presa, specialmente per un pubblico avido di storie cruente e disturbanti.

La vicenda dei Broaddus, che si indebitarono per acquistare una casa poi rimessa sul mercato alla velocità della luce, non è che un pretesto. Le peripezie attuate dalla famiglia Brannock (questo è il nome di fantasia assegnato ai quattro malcapitati) per smascherare il maniaco che li ossessiona sono per lo più invenzione narrativa, frutto della predisposizione di Murphy a sfruttare i canoni mistery-horror per indagare le storture di una società perbenista, prona alle apparenze ma fondamentalmente ipocrita e vigliacca. The Watcher rischia così di essere frainteso già a partire dall’etichetta che gli è stata assegnata in base a logiche di mercato che forse non dipendono del tutto dai suoi creatori. In altri termini, trovarsi di fronte ad una satira sulla società americana, travestita ironicamente da compendio semi-serio sul quieto vivere e sulle regole di buon vicinato, potrebbe risultare irritante per colui che si pregustava un thriller di matrice true crime.

Nora (Naomi Watts) e Dean (Bobby Cannavale) sono la personificazione del sogno americano: belli e innamorati, lui lavora in ufficio a Manhattan, lei plasma vasi di ceramica, in attesa di sfondare sulla scena artistica di New York. I figli Ellie (Isabel Gravitt) e Carter (Luke David Blumm) sono a loro volta belli, sorridenti, ubbidienti, brillanti in tutto ciò che fanno. La “casa dei sogni” è simbolo di benessere e privilegio, ostentazione di uno status quo, lasciapassare in un mondo di ricchi uomini bianchi, riproduzione in scala del quartiere in cui è stata costruita: qui, dove la criminalità è solo un vago ricordo metropolitano, devono regnare ordine e cordialità. Immaginate quindi lo smarrimento di Nora e Dean di fronte all’invadenza di una sequela di dirimpettai ostili, maleducati e che per giunta sembrano tramare qualcosa di losco alle loro spalle (e di costoro, lo sottolineiamo ancora una volta, non c’è traccia nella storia vera dei Broaddus). Da un lato, ci sono Mo (Margo Martindale) e Mitch (Richard Kind), una coppia di coniugi di mezza età non proprio accomodanti, dall’altro Pearl (una quasi irriconoscibile Mia Farrow) e il figlio Jasper (Terry Kinney), che sembrano appena usciti da un documentario sugli estremisti religiosi del Midwest. Come se un tale manipolo di disadattati non bastasse a turbare i placidi sonni dei Brannock, le missive anonime si aggiungono ben presto al quadro, configurandosi come la proverbiale goccia che farà traboccare un vaso oramai stracolmo di imprecazioni.

Naomi Watts e Bobby Cannavale in The Watcher. Cr. Eric Liebowitz/Netflix © 2022

Una satira difficile da afferrare, destinata a perdersi

Il trasferimento di Dean e Nora in New Jersey è uno dei molteplici effetti collaterali della cosiddetta gentrificazione, con la progressiva fuga di famiglie appartenenti ai ceti medi dalle città alle periferie. Murphy non giustifica i suoi protagonisti, che scelgono deliberatamente di svenarsi per investire nel mattone pur sapendo di andare ben oltre le loro effettive possibilità economiche. Dean è il classico uomo di casa: padre severo ma comprensivo, amante focoso e marito autorevole, si occupa del sostentamento economico della famiglia, assecondando le ambizioni della moglie più per atteggiamento che per reale convinzione. Nora, dal canto proprio, è il suo perfetto contraltare: amorevole madre modello, la sua vita ruota attorno a figli e marito, pur concedendosi velleità artistiche di cui non sembra essere sicura fino in fondo.

Pur non dubitando che esistano davvero famiglie di questo tipo (specialmente all’interno di certi contesti radical chic statunitensi e non solo), l’esagerazione di ciascuno di questi stereotipi dimostra che nel mirino di Murphy si trova, più che la famiglia Brannock in sé, il perverso sistema di cui essa è allo stesso tempo simbolo e riflesso. Un sistema all’interno del quale c’è spazio per discutere su ogni problema socio-culturale rilevante, a patto però di banalizzarlo, riducendolo ad una caption su Instagram o a qualche frase fatta da scambiarsi seduti al tavolo di un sofisticato country club, giusto per ripulirsi un po’ la coscienza. Non può essere un caso che tutti i personaggi grotteschi che si avvicendano nel corso di The Watcher abbiano qualcosa da dire sui temi “caldi” più disparati: dal razzismo, al sessismo, al fanatismo religioso, fino a toccare persino i massimi sistemi, discorrendo genericamente di avidità e crisi economica. Il carattere dissacrante della miniserie, fortemente polemica verso la piega distorta e auto-assolutoria che sta prendendo la partecipazione collettiva ai dibattiti sociali e politici, ne motiva le numerose inverosimiglianze e incongruenze a livello narrativo. L’ottima performance di Bobby Cannavale riesce a superare, con notevole distacco, quelle degli altri attori in corsa: lo spaesamento, l’indignazione e, infine, la rassegnazione del suo Dean Brannock rispecchiano lo stato d’animo di noialtri, ormai assuefatti ai deliri degli instancabili leoni da tastiera o alla strenua prosopopea del complottista di turno.

Tuttavia, Murphy presuppone che nello spettatore vi sia una perenne disposizione a leggere tra le righe e a districarsi nella marea di linee narrative che si accavallano le une sulle altre (peraltro risolvendosi, spesso e volentieri, in un nulla di fatto). La principale pecca di un’opera che avrebbe avuto tutte le carte in regola per colpire nel segno sembra nascondersi, paradossalmente, nell’entusiasmo dei suoi creatori e nella loro esigenza di togliersi troppi sassolini dalla scarpa nello stesso momento. La sfida imposta da The Watcher risulta a lungo andare logorante, tanto da rendere la miniserie cervellotica e a tratti enigmatica, proprio come le reali intenzioni di chi ha firmato la sceneggiatura. Una satira difficile da afferrare è una satira che ha fallito e che è quindi destinata a perdersi, proprio come una lettera anonima abbandonata sul fondo di un cassetto.

Guarda il trailer ufficiale di The Watcher

GIUDIZIO COMPLESSIVO

La sfida imposta da The Watcher risulta a lungo andare logorante, tanto da rendere la miniserie cervellotica e a tratti enigmatica, proprio come le reali intenzioni di chi ha firmato la sceneggiatura. Una satira difficile da afferrare è una satira che ha fallito e che è quindi destinata a perdersi, proprio come una lettera anonima abbandonata sul fondo di un cassetto.
Annalivia Arrighi
Annalivia Arrighi
Appassionata di cinema americano e rock ‘n’ roll | Film del cuore: Mystic River | Il più grande regista: Martin Scorsese | Attore preferito: due, Colin Farrell e Sean Penn | La citazione più bella: “Questo non è volare! questo è cadere con stile!” (Toy Story)

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