lunedì, Ottobre 14, 2024
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The Walking Dead: World Beyond, recensione della serie Amazon

In principio fu un fumetto creato da Robert Kirkman, andato in stampa dal 2003 al 2019. Poi venne la serie tv, durata la bellezza di 10 anni (2010-2020) ideata dal regista Frank Darabont (che diresse anche l’episodio pilota), definita da un esperto di zombie movie quale George A. Romero nientepopodimeno che una “soap opera”. Non paghi dell’esperienza – ormai irrimediabilmente compromessa lungo il corso delle estenuanti e pretestuose stagioni – ecco comparire un primo spin-off, in questo caso un prequel: Fear the Walking Dead (dal 2015). Ma dalle parti di Hollywood sembra che abbiano poche idee originali al momento, tanto da riesumare – praticamente in concomitanza con la fine della 10° stagione della serie originale – un altro spin-off, questa volta ambientato nel futuro come si evince anche dal titolo, The Walking Dead: World Beyond. La nuova serie, distribuita negli Stati Uniti da AMC, sarà disponibile in Italia dal 2 ottobre su Amazon Prime (verrà aggiunto un episodio ogni venerdì). Ne abbiamo visto in anteprima le prime due puntate.

La prima domanda che sorge spontanea ancor prima di confrontarsi con la serie ideata da Scott M. Gimple e Matthew Negrete (entrambi già coinvolti nello sviluppo di The Walking Dead) è la seguente: era veramente necessario continuare una saga che aveva già mostrato la corda nello sviluppo della serie originale? Lo ammettiamo, è una domanda che tradisce un atteggiamento prevenuto nei confronti di questa nuova operazione promossa dalla AMC. Il problema è che l’interrogativo persiste anche dopo la visione dei primi episodi, caratterizzati da una capacità di coinvolgere lo spettatore – a parere di chi scrive, anche i fan della saga – pari a zero.

A distanza di 10 anni dall’apocalisse, l’umanità sta cercando di tornare alla “normalità” provando a contenere la minaccia degli zombi (che appare, di primo acchito, più gestibile). In uno spazio sicuro situato nell’ex Stato del Nebraska, due giovani sorelle cercano di guardare al futuro con (altalenante) ottimismo, anche se i traumi del passato – in particolare, la tragica morte della madre – continuano a turbare le loro vite: Hope (Alexa Mansour) è estroversa e sospettosa circa il nuovo ordine che si è instaurato negli States dopo il “cataclisma” planetario, mentre Iris (Aliyah Royale) ha tutt’altro carattere, essendo mite, diligente e rispettosa delle regole. Quando un messaggio le informa che il padre, Leo Bennet (Joe Holt), scienziato che sta lavorando a un vaccino per contrastare la pandemia a New York, è in pericoloso, le sorelle decidono di abbandonare la “comfort zone” dove sono cresciute per correre in soccorso del genitore.

Non sappiamo, come diceva sempre il caro e compianto Romero, se la serie The Walking Dead (e tutto quanto ha generato dopo) ha veramente ucciso lo zombie movie. Una cosa però è certa: ne ha depotenziato non solo la portata “politica” (ravvisabile in particolar modo nel cinema del regista de La notte dei morti viventi) ma anche quella più squisitamente perturbante. Riavvolgendo il nastro: potremmo dire che la saga televisiva sviluppatasi dal fumetto di Kirkman ha tradito costantemente le aspettative di spettatori che troppe volte sono trovati spiazzati di fronte a scelte – narrative e stilistiche – che hanno inficiato un’operazione potenzialmente interessante ma che è andata (palesemente) troppo per le lunghe. Se pensiamo all’episodio pilota della prima stagione della serie originale, alla sua straordinaria efficacia spettacolare – come scordare il drammatico risveglio di Rick in ospedale? – risulta difficile accettare gli sviluppi che hanno contraddistinto successivamente la storia e le sue varie ramificazioni seriali.

Le prime due puntate di The Walking Dead: World Beyond sembrano procrastinare un atteggiamento già visto nelle due serie che l’hanno preceduta: scene d’azione ridotte all’osso e che sanno di già visto, una verbosità eccessiva che rallenta (quasi atrofizza) la narrazione, una serie di personaggi che non vanno al di là dello stereotipo, e last but not least la sensazione che gli zombi ormai non siano altro che un mero contorno della vicenda  (nel caso di quest’ultima serie, i non morti vengono addirittura inquadrati come parte della natura circostante, ormai “pseudo arbusti” sui cui corpi nascono e crescono erbacce e muschio).

Se gli zombi sono quindi declassati ad appendice, ad essere promossi in qualità di protagonisti della storia raccontata in The Walking Dead: World Beyond sono, come si sarà ben capito dalla sinossi, un gruppo di teenager. Una scelta chiaramente figlia dei tempi – di primo acchito richiama al successo di Stranger Thing, ma non solo -, la cui originalità però è venuta meno a causa delle innumerevoli teen series prodotte negli ultimi anni. Già delle prime sequenze emerge l’interesse, da parte degli autori, di concentrarsi sui protagonisti e i loro problemi relazionali e sociali, affrontando tematiche tipiche di ogni coming of age che si rispetti (amicizia, amore, traumi famigliari, ecc.) con in più il problema di un mondo invaso dai “cannibali”.

Non che la scelta di aver declinato la narrazione su temi più afferenti un pubblico giovanile sia sbagliata di per sé; il problema però è che tutte le situazioni descritte sono state comunque abusate al tal punto che l’interesse dello spettatore viene meno nel momento in cui – credendo inizialmente di assistere a un prodotto di genere spettacolare, magari un po’ fracassone, ma comunque godibile – si accorge di dover fare i conti con adolescenti disagiati che ancor prima di combattere gli zombi devono fare i conti con i loro (grandi) problemi. E, da questo punto di vista, i primi due episodi di The Walking Dead: World Beyond rappresentano purtroppo già un ostacolo insormontabile. Magari migliorerà durante il corso della prima stagione, ma se queste sono le premesse meglio davvero tornare ai classici del maestro Romero.

Guarda il trailer di The Walking Dead: World Beyond

GIUDIZIO COMPLESSIVO

The Walking Dead: World Beyond sembra procrastinare un atteggiamento già visto nelle due serie che l'hanno preceduto: scene d'azione ridotte all'osso, una verbosità eccessiva, una serie di personaggi che non vanno al di là dello stereotipo, e la sensazione che gli zombi ormai non siano altro che un mero contorno della vicenda.
Diego Battistini
Diego Battistini
La passione per la settima arte inizia dopo la visione di Master & Commander di Peter Weir | Film del cuore: La sottile linea rossa | Il più grande regista: se la giocano Orson Welles e Stanley Kubrick | Attore preferito: Robert De Niro | La citazione più bella: "..." (The Artist, perché spesso le parole, specie al cinema, sono superflue)

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