Disponibile dal 14 dicembre su Disney+, The Patient è la nuova miniserie psychological thriller creata da Joel Fields e Joe Weisberg. Una produzione targata FX – il network americano dietro lo show – che vede il ritorno di due delle penne della bellissima serie di spionaggio The Americans (Fields ne ha firmato 24 episodi, Weisberg 25 e ne è l’ideatore). Si alternano alla regia, nei dieci episodi che compongono la miniserie, professionisti del piccolo schermo come Chris Long (The Right Stuff – Uomini Veri, Suspicion), Kevin Bray (Succession, Black-ish) e Gwyneth Horder-Payton (Pam & Tommy, The Offer).
The Patient mette in scena la storia dello psicanalista Alan (Steve Carell) e di uno dei suoi pazienti, l’introverso Sam (Domhnall Gleeson), affetto da una “insolita” patologia: quella di essere un serial killer. Sam rapisce Alan per poter essere completamente onesto con lui, evitando così l’inconveniente di venir denunciato alle autorità, nell’intento di portare avanti la terapia e porre fine alle irrefrenabili pulsioni che lo portano all’omicidio. Una prigionia durante la quale Alan rifletterà anche sulla recente scomparsa della moglie Beth (Laura Niemi) e sul suo burrascoso rapporto con il figlio Ezra (Andrew Leeds).
Cuore pulsante di questa lunga sessione di psicanalisi è, indubbiamente, il suo duo di protagonisti, magistralmente interpretati dai due attori. Carell, famoso principalmente per i suoi ruoli comici (l’idiotico “World’s Best Boss” Michael Scott di The Office, 40 anni vergine), aveva già dimostrato le sue capacità di attore serio nel suo lavoro con il regista Adam McKay (La grande scommessa, Vice – L’uomo nell’ombra) e, soprattutto, in Foxcatcher: Una storia americana, pellicola per cui ha ottenuto una nomination agli Oscar. Gleeson – noto al grande pubblico per ruoli di contorno in saghe come Harry Potter e Star Wars – aveva fatto notare precedentemente la sua bravura interpretativa in film come Frank ed Ex Machina.
Una inusuale prospettiva interna
I lunghi e tesi dialoghi tra i due, sorretti dalle ottime interpretazioni, offrono una inusuale prospettiva interna non solo sulla mente deviata di un serial killer, ma anche sulla complessità dei rapporti interpersonali in generale, in cui spesso è difficile mettersi nei panni dell’altro e capire quando si è passato il limite. The Patient lascia poche volte il luogo di prigionia di Alan, alternando rare incursioni all’esterno e sequenze oniriche, dove frammenti di ricordi della vita dell’analista si mescolano a sessioni di autoanalisi con il defunto amico terapista Charlie (David Alan Grier); un mezzo per svelare, piano piano, la complessa relazione con il figlio Ezra, convertitosi all’ebraismo ortodosso contro la volontà dei genitori.
La scrittura di Fields e Weisberg, nella maggior parte dei casi molto buona, non è tuttavia priva di difetti: la sensazione è che The Patient duri un paio di puntate più del dovuto. Un problema di lungaggine non aiutato dalla regia, perlopiù funzionale, ma senza una personalità forte in grado di tenere alta l’attenzione, e la tensione, durante tutti gli episodi. Il risultato è comunque pregevole, con due performance attoriali di livello, capaci di tenere incollati allo schermo fino alla fine anche i più impazienti.