The Night Manager è stata sicuramente una delle mini-serie più affascinanti e che hanno riscosso maggior successo durante la scorsa stagione 2016-2017. Grazie anche alla sapiente ed esperta regia del Premio Oscar Susanne Bier (lo conquistò grazie a In un Mondo Migliore nel 2010), all’ispirato soggetto costituito dal romanzo del maestro del genere spionistico John le Carré e all’azzeccata scelta casting che ha saputo unire, con maestria e scaltra esperienza, il talento al glam coinvolgendo tanto Olivia Colman e Tom Hollander quanto i ben più patinati Tom Hiddleston, Elizabeth Debicki e Hugh Laurie.
Beniamini del piccolo e del grande schermo, del circuito indie come del mainstream si sono ritrovati tutti insieme, orchestrati dalla Bier, per lasciarsi coinvolgere in questa intricata spy story dal sapore classico quanto moderno, dove il vero fulcro dell’azione è il The Night Manager scomodato nel titolo, tale Jonathan Pine.
Una delle mini-serie più affascinanti e che hanno riscosso maggior successo durante la scorsa stagione 2016-2017
Ex soldato dell’esercito britannico, dopo essere rimasto segnato dalle cicatrici del suo scomodo passato si è reinventato portiere di notte in un lussuoso albergo mediorientale, dove il pubblico lo incontra per la prima volta. Ma dopo il cruento omicidio della sua amante occasionale – cliente dell’albergo – e con la Primavera Araba pronta a scardinare lo status quo ottenuto, Pine comincia a scavare sempre di più nel torbido del doppiogioco, del traffico d’armi e di tutti gli eventuali benefattori che vi ruotano intorno.
Tra questi, non sfugge alla sua attenzione tale Richard Roper, miliardario filantropo apparentemente lontano da qualunque coinvolgimento nel settore. Solo l’intervento dell’agente dei servizi segreti Angela Burr e della sua volontà di assoldare Pine per stanare Roper spinge il laconico portiere a riesumare i propri talenti nascosti nello spionaggio per infiltrarsi nel mercato nero delle armi sotto copertura, avvicinando così Roper e conquistando progressivamente.
Ciò che Pine non può prevedere è che due ostacoli si pongano lungo la sua strada: prima il braccio destro di Roper, Corkoran, infine l’attrazione fatale e inarrestabile proprio tra Pine e Jed, la giovanissima accompagnatrice/fidanzata del miliardario.
The Night Manager recensione della miniserie con Tom Hiddleston
The Night Manager, dopo aver conquistato l’attenzione degli spettatori grazie ai canali via cavo che l’hanno trasmessa in chiaro a partire dal febbraio 2016 (in Italia è stata trasmessa da Sky Atlantic dal 20 aprile al 18 maggio 2016), ha colpito anche la stagione dei premi, vincendo tre Golden Globes (incluso quello per il Miglior Attore Protagonista in una miniserie a Hiddleston) e ottenendo altri svariati riconoscimenti che ne hanno sancito la popolarità.
Il segreto del successo della mini-serie nasce proprio dalla sua formula in bilico tra modernità e gusto retrò: partendo dal romanzo di Le Carré ambientato nel 1993 e, come da tradizione, imperniato sugli oscuri giochi di specchi tra spie, la Bier e lo sceneggiatore David Farr sono riusciti ad adattare quello specifico “universo le Carré” ai giorni nostri, e in particolare resettando l’orologio narrativo al 2011 – quindi per noi spettatori un passato prossimo – popolato da sommosse e rivoluzioni nei paesi del nord Africa.
In sei episodi da 58 minuti l’uno seguiamo le avventure tese, adrenaliniche e affascinanti del portiere di notte ed ex soldato Pine, personaggio più vicino all’irresistibile carisma di Bond che ai volti dei divi action che popolano – e hanno popolato – il cinema mainstream post-moderno.
In sei episodi da 58 minuti l’uno seguiamo le avventure tese, adrenaliniche e affascinanti del portiere di notte ed ex soldato Pine
Al contrario della tradizionale spia che amava le donne, però, Pine è schivo e taciturno, tanto conturbante quanto complesso e inafferrabile, il perfetto opposto della sua nemesi Roper: a sua volta charmant ma sardonico, magnetico e “sociale”, perfettamente in grado di vivere immerso nel tessuto sociale nel quale si muove con assoluta, e disinvolta, tranquillità nonostante le azioni crudeli del quale si è macchiato.
Hiddleston e Laurie prestano volto, intensità e soprattutto voce, rispettivamente all’eroe e all’antagonista – per ridurre la struttura narrativa al tipico schema della fiaba di V. Propp –, i quali però acquistano nuove sfumature pronte a renderli più complessi e sfaccettati, meno catalogabili e più sfuggenti; l’eroe si trasforma in un anti-eroe atipico e contraddittorio come del resto l’antagonista acquista carisma, fascino e “simpatia” agli occhi del pubblico.
La regia della Bier è in grado di dare risalto ai conflitti tra i protagonisti: le linee di tensione collegano Pine a Roper quanto entrambi a Jed, loro oggetto del desiderio; in mezzo, la carismatica Angela Burr interpretata dalla Colman, incarnazione perfetta delle oscure ambiguità dei servizi segreti e delle macchinazioni condotte tra le stringe oscure della storia.
Nonostante questi pregi legati alla sceneggiatura di Farr e alla capacità della Bier come “direttrice d’attori”, purtroppo però è lo stesso stile registico di quest’ultima a destare – a tratti – qualche perplessità, oscillando costantemente tra un gusto glam ostentato fino al limite del kitsch e della palese, quanto eccessiva, finzione audiovisiva.
I titoli di testa, nella grafica elegante e patinata, emulano i fasti del più tradizionale agente Bond, consegnando Tom Hiddleston e The Night Manager al nostro, post-moderno, avido e ipercinetico, immaginario spionistico.