In che direzione sta andando Apple Tv+? È lecito domandarselo a quasi quattro anni dal suo rilascio, ma non è così facile darsi una risposta. Un po’ perché il mondo dello streaming ci ha abituato a una dispersione dell’identità in nome dell’accumulazione (è proprio il caso di dirlo) seriale di contenuti a beneficio di un pubblico vasto e variegato – ricordate Disney+ quando è uscito? Nulla a che vedere con la piattaforma odierna -; un po’ perché osservando il catalogo del servizio streaming di Cupertino è difficoltoso individuare una strada univoca lungo la quale si è sviluppato il suo breve (ad oggi) percorso.
L’unica cosa chiara è la volontà di puntare su prodotti ambiziosi di altissimo livello, che tradotto significa: ingenti investimenti per cercare di avvicinarsi ai competitor. Sono diversi i film e le serie che dimostrano questa “attitudine alla qualità” (talvolta più esibita che certificata, è il caso di dirlo). Solo per fare due esempi: lato cinema come non pensare all’atteso Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, colosso da oltre 200 milioni di budget; lato serialità, invece, è naturale citare The Morning Show, prestige drama ideato da Jay Carson dedicato all’oscuro mondo dello showbiz che si avvale di un cast di notevole spessore.
Proprio sui suoi interpreti la serie ha costruito una parte consistente della propria credibilità – di puntata in puntata – nel corso della prima stagione, ed è ancora grazie a loro che non è affondata nella problematica seconda, parzialmente compromessa dall’emergenza Covid-19 (che ha ovviamente influito sulla produzione, ma ha anche influenzato la trama e i suoi sviluppi). E non è probabilmente un caso che nonostante le varie vicissitudini che hanno coinvolto la rete UBA di New York e i suoi dipendenti non ci siano stati addii eccellenti a parte quello inevitabile di Steve Carell (d’altronde il suo Mitch muore alla fine della seconda stagione), comunque prontamente sostituito nella terza, disponibile dal 13 settembre, da un altro “pezzo da novanta”: Jon Hamm.
Focalizzare l’attenzione sugli attori non significa sminuire le qualità di una serie che si è imposta nella prima stagione come un feroce atto di accusa nei confronti di un mondo dello spettacolo travolto solo un paio di anni prima dal caso Weinstein, ma che è riuscita ad allargare la propria prospettiva nella seconda stagione, includendo nella sua disamina sulla contemporaneità ulteriore tematiche: il razzismo imperante nella società USA, il diritto all’aborto, il dramma globale della Pandemia. Una prospettiva che viene ulteriormente ampliata nella terza, dove i personaggi si ritrovano a fare i conti con vecchi e nuovi problemi.
Dove eravamo rimasti?
La terza stagione di The Morning Show inizia a distanza di pochi mesi dalla fine della seconda. La Pandemia si è conclusa e la vita, nella sede del canale UBA, è tornata (quasi) alla normalità. Cory (Billy Crudup) continua a gestire la rete con audacia, ma la sua posizione comincia a vacillare a causa delle ingenti perdite dell’azienda e del disallineamento con alcuni componenti del CdA, a cominciare dalla veterana Cybil (Holland Taylor). Bradley (Reese Witherspoon) è ormai diventata la donna immagine della rete, mentre Alex (Jennifer Aniston) sta vivendo una seconda giovinezza professionale grazie a UBA+, il canale streaming lanciato durante la Pandemia. La crisi finanziaria aleggia come uno spettro sull’attività di redattori, conduttori e dirigenti della rete e l’unica speranza di rilancio sembra essere rappresentata dal miliardario Paul Marks (Hamm).
Tanto lusso, ma l’anima?
La terza stagione di The Morning Show non è (fortunatamente) caratterizzata dall’andamento ondivago e confuso della seconda, ma neanche (purtroppo) dalla compattezza e dall’urgenza della prima, di cui – a conti fatti – è una sorta di copia sbiadita. Cerca di ravvivare la narrazione mettendo in relazione la piccola storia di una tv americana con gli eventi storici recenti chiamata a raccontare attraverso i propri programmi e approfondimenti: non solo la Pandemia, ma anche l’omicidio di George Floyd, l’assalto al Campidoglio del 2021, fino ad arrivare alla Guerra in Ucraina. Ma lo fa senza convinzione, senza osare troppo e affidandosi unicamente al fascino indiscutibile dei suoi interpreti.
Più la vicenda entra nel vivo (tranquilli, nessun spoiler all’orizzonte), più aumenta il disinteresse nei confronti di una storia senza alcun appeal, dove tutto pare già visto nelle stagioni precedenti, e ci si accontenta di contemplare personaggi e interpreti in scena. Riuscirà Cory a salvare l’UBA e a rafforzare il suo potere, magari tentando di “eliminare” qualche membro scomodo del CdA? Alex supererà la morte di Mitch e il pensiero di gran parte dell’opinione pubblica di averlo condannato al suicidio? Bradley ce la farà a mettere ordine al caos della sua vita privata (il rapporto con il fratello scapestrato, quello con l’ex compagna e collega Laura)? In fondo, a chi importa veramente? Quello che davvero interessa è osservare un manipolo di attori perfettamente in sintonia, capaci con la loro bravura di far accettare anche allo spettatore più esigente qualche eccesso narrativo – nella prima puntata i giornalisti del “The Morning Show” vengono pure spediti in orbita.
Si rimane così affascinati, persino catturati dall’incedere serafico di Bill Crudup (gigantesco), dalla spavalderia della navigata Alex Levy/Jennifer Aniston, ormai diventata una sorta di Oriana Fallacci d’Oltreoceano senza alcun timore reverenziale nei confronti degli ospiti intervistati nel suo programma, dal savoir faire dell’enigmatico Paul Marks/Jon Hamm, miliardario hi-tech tendente alla megalomania vagamente ispirato a Elon Musk. Eppure, neanche questi aspetti positivi riescono a giustificare una stagione costituita da 10 puntate di quasi un’ora ciascuna. La sensazione è che la terza stagione di The Morning Show sia stato più il tentativo – disperato? – di risollevare la serie dopo i problemi della precedente stagione, ma senza la qualità di scrittura necessaria per risollevare le sorti di un prodotto che parrebbe essere arrivato al capolinea.