The Last of Us è la nuova serie d’ambientazione post-apocalittica, basata sull’omonimo videogioco per PlayStation, in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW a partire dal 16 gennaio, in contemporanea assoluta con la messa in onda negli Stati Uniti. Composto da 9 episodi, l’attesissimo show seguirà un’uscita settimanale.
I videogiochi, soprattutto nelle ultime due decadi, hanno sicuramente migliorato la loro reputazione, diventando una forma di intrattenimento sempre più diffusa e apprezzata anche presso buona parte del pubblico generalista, uscendo dal ghetto di passatempo circoscritto ad una nicchia di irriducibili appassionati. Un fatto che ha attirato, inevitabilmente, l’attenzione delle major hollywoodiane, con produzioni dal budget consistente rispetto a quelle del passato (l’originale Mortal Kombat, Street Fighter – Sfida finale con Jean-Claude Van Damme), ma qualitativamente ancora carenti (il recente Mortal Kombat, Uncharted).
È qui che entra in campo HBO, pay tv americana nota per le sue produzioni di prestigio (I Soprano, House of the Dragon), puntando sulla hit videoludica sviluppata da Naughty Dog. The Last of Us è uno di quei videogiochi che brillano particolarmente per la loro componente narrativa, capace di coinvolgere emotivamente in modo profondo il giocatore, grazie ad una sceneggiatura nettamente al di sopra della media. Una scelta azzeccata per una serie che si voglia distinguere dagli altri pessimi adattamenti da videogame e puntare su un tono più drammatico, capace anche di attrarre, con il suo soggetto, il pubblico di successi come The Walking Dead.
Neil Druckmann (autore del videogioco originale) e Craig Mazin (Chernobyl) – entrambi showrunner della serie – ci trasportano in un 2023 alternativo: un fungo parassita mutato, probabilmente a causa dei cambiamenti climatici, ha decimato la popolazione mondiale, trasformando la maggior parte delle persone in una sorta di zombie. L’unica speranza di salvezza sembrerebbe risiedere in Ellie (Bella Ramsey), orfana quattordicenne immune all’infezione. Affidata al burbero e disilluso Joel (Pedro Pascal), la ragazza dovrà affrontare un pericoloso viaggio, attraverso gli Stati Uniti, nel disperato intento di raggiungere il gruppo in grado di sviluppare la cura alla mortale piaga.
Un affresco di un’umanità disperata e brutale
The Last of Us mantiene la struttura di base della trama della sua fonte, così come le sue influenze letterarie e cinematografiche (le città fortificate fortemente militarizzate, dove vivono alcuni dei sopravvissuti, ricordano quelle de La terra dei morti viventi di George A. Romero), riducendo all’osso le parti action e la spettacolarizzazione – privilegiate nel medium videogame, dove è centrale “l’agire”, l’interazione del giocatore – e ampliando il lato prettamente drammatico delle vicende, dando più spazio e spessore ai vari personaggi.
Quasi tutti i momenti chiave della storia sono presenti nella serie, come l’iconico prologo con protagonista Sarah (Nico Parker), la figlia di Joel. Un ruolo che viene ampliato, sopperendo alla mancanza di interazione in prima persona con l’aggiunta di scene per farci affezionare al personaggio, restituendo così, con la solita efficacia, la conseguente disperata fuga in macchina (una scena che, probabilmente, già nel videogioco era stata ispirata da I figli degli uomini di Alfonso Cuarón).
Come accennato in precedenza, non aspettatevi di vedere tanti infetti e clickers (hanno un ruolo prominente solo nel secondo episodio): alla serie di The Last of Us non interessano i mostri e gli zombie, mero espediente per giustificare il contesto post-apocalittico, ma il crollo della civiltà umana e i conseguenti rapporti interpersonali, sia brutali che sorprendentemente teneri, tra i sopravvissuti di questo mondo impazzito. Esemplare, in questo senso, il terzo episodio; una lunga digressione su una toccante storia d’amore con protagonista il survivalista Bill, meravigliosamente interpretato da Nick Offerman.
The Last of Us privilegia l’aspetto drammatico della sua fonte, adattando al meglio il medium d’origine alla forma seriale, dando il giusto spazio ai suoi personaggi e alle loro tragedie personali (ben utilizzati, con questo scopo, alcuni flashback). Un affresco, a tratti commovente, di un’umanità disperata e spietata, ma ancora capace di amare, dove tutto è ben calibrato, dalla scrittura alle ottime performance degli attori protagonisti. Siamo sicuramente più dalle parti del romanzo “La strada” di Cormac McCarthy che della serie cinematografica di Resident Evil (e meno male).