The Gentlemen è il titolo di una serie tv in otto episodi, disponibile su Netflix dal 7 marzo. The Gentlemen è anche il titolo di un film del 2019 con, tra gli altri, Matthew McConaughey, Charlie Hunnam, Colin Farrell e Hugh Grant, apprezzato dalla critica e ben trattato dal pubblico in sala; ha il merito di aver rimesso in sesto la carriera di uno dei più eclettici autori britannici contemporanei – regista, sceneggiatore e produttore –, Mr. Guy Ritchie.
Il suo cinema elettrico e borderline, flirta con il genere (action, thriller, gangster) senza prendersi troppo sul serio. La formula, orribile parola, è sintetizzabile nella matematica combo azione + risate. Da una costola del film del 2019 viene la serie tv del 2024, situata nello stesso fittizio universo per espandere, approfondire e dilatarne le dinamiche, aprendosi a nuovi scenari, nuovi intrecci narrativi e, soprattutto, a nuovi personaggi.
Infatti si è parlato da subito di spin-off. The Gentlemen, la serie, è lo spin-off, il proseguimento camuffato, la derivazione narrativa e tematica del precedente film ma, avviso ai naviganti, se di spin-off si tratta, il carattere derivativo dell’operazione è temperato dalla spiccata personalità di una storia che non si lascia condizionare troppo dall’originale, ma non per questo è meno amichevole nei confronti dello spettatore. Molto più semplicemente: non è indispensabile aver visto il film per stare al passo con la serie.
Guy Ritchie, qui ideatore e in precedenza demiurgo del film, ha messo in piedi un mondo narrativamente e tematicamente autosufficiente anche se collegato, nei toni e nelle atmosfere, all’originale. Se avete visto il film, ritroverete un sapore action-comedy che già conoscete. Se non l’avete visto, che lo recuperiate o meno, non dovrete sforzarvi troppo a entrare dentro la storia. Ora bisogna parlare del cast.
Sangue blu e traffico di droga: il mix perfetto
The Gentlemen è uno spin-off, ma non di quelli schiacciati sull’originale. Se film e serie condividono lo stesso universo, non si può dire altrettanto dei personaggi e degli ambienti. Tutto diverso a parte il feeling; per facilitare il compito allo spettatore ignaro, che nulla sa dei pregressi, si riparte da zero, puntando sullo charme e la freschezza di tante facce nuove. Inutile attendersi clamorosi ritorni o quel genere di ruffiane strizzatine d’occhio che rappresentano lo standard (discutibile) per tanti spin-off contemporanei. Di nuovo cast si è parlato e di nuovo cast si tratta, a cominciare dalla coppia di protagonisti Theo James e Kaya Scodelario. Sono giovani, carini e non del tutto a loro agio nel sottobosco criminale che ne ospita il primo, imprevisto, ma chissà, provvidenziale (per entrambi) incontro.
L’alchimia dei due caratteri è un intreccio sapiente di identità confuse e meno confuse, di un’attitudine criminale e calcolatrice messa di fronte a un solido senso di giustizia. Eddie Halstead (James) ha da tempo abbandonato la frivola vita da rampollo dell’aristocrazia britannica. È un bravo soldato e non si guarda mai indietro. Quando il padre muore, non può fare a meno di tornare a casa, un’elegantissima tenuta da qualche parte nella campagna inglese. Al momento di aprire il testamento, Eddie ha il cuore in pezzi (più o meno) ma non è preoccupato, perché non è il primogenito e non è che cerchi chissà che responsabilità in famiglia.
La mamma di Eddie si chiama Lady Sabrina (Joely Richardson), la sorella Charly (Jasmine Blackborow) e il fratello maggiore, teoricamente destinato a succedere al padre, Freddy (Daniel Ings). Disgraziatamente Freddy è un pazzo totale, irrazionale, immaturo e pieno di vizi e dipendenze; è convinto che prevarrà anche stavolta la linea della continuità dinastica ma, shock generale, il defunto ha nominato erede il figlio cadetto. Il solido, stoico, irreprensibile Eddie diventa Duca suo malgrado, con evidente scorno del fratello maggiore, che si sente defraudato dei privilegi della tradizione, perplessità della famiglia e stupore suo personale. Ma le sorprese non finiscono qui.
Ci sono tante cose che Eddie ignorava della sua famiglia, e la più importante è che il padre, per far fronte ai problemi economici, aveva concesso i sotterranei della tenuta a un boss della droga, Bobby Glass (Ray Winstone), ora in prigione ma affiancato negli affari dalla figlia Susie (Scodelario). Susie ha costruito un’immensa serra hangar proprio sotto la tenuta per la lavorazione della marijuana. Non è così semplice sbarazzarsi di loro. Bisogna venirci a patti. Eddie scopre che la vita criminale, l’inaspettata partnership professionale con Susie, gli calzano a pennello. È nata una stella (criminale)? Forse.
Ovviamente Eddie e Susie non sono soli. C’è un ecosistema criminale tentacolare, per nulla accogliente, che si muove sopra di loro e tutto attorno, mettendo in seria discussione la solidità della partnership. Non è saggio anticipare troppo di una serie che, senza inseguire il fantasma di una rivelazione spiazzante dopo l’altra, per la sua natura di ibrido crime-comedy ha bisogno di suspense per sostenere l’efficacia dei suoi uno-due drammatici. Non va dimenticato il contributo, ai margini della storia, ma si vedrà poi quanto, di un sorridente e maligno Giancarlo Esposito, milionario americano molto interessato alla tenuta di Eddie.
La serialità (e il cinema) secondo Guy Ritchie
Come tanto storytelling contemporaneo, The Gentlemen è anche un romanzo di formazione. Fuori tempo massimo, verrebbe da dire, perché il protagonista, l’impassibile, granitico e, almeno all’inizio, integro Theo James (la saga di Divergent, la serie The White Lotus), ha una certa età e dovrebbe aver deciso da un pezzo cosa fare di sé. E invece no; l’inaspettata eredità è una sorta di tonico esistenziale per la sua vita, molto ben educata ma anche un po’ ammuffita. Si tratta, per Eddie, di trovare finalmente la strada giusta, definire in maniera più precisa un’identità fino a quel momento opaca e sfuggente. L’ironica constatazione, che parte da Eddie, malvivente sempre più a suo agio man mano che la storia procede, ma si estende anche alla sua famiglia sopra le righe, è che questa aristocrazia britannica, ammuffita e pomposa, tra un tè delle cinque e l’altro sa destreggiarsi bene nel sottobosco criminale.
D’altronde, è sempre questione di contrasti, nel cinema (e nella serialità) di Guy Ritchie. The Gentlemen neanche ci prova a essere qualcosa di diverso. Il cinema e la serialità possono essere sapori netti o cocktail; il gusto dell’autore inglese è sempre andato in direzione dei secondi. La serie Netflix è l’ennesima variazione su un tema – una spolveratina di genere e un dissacrante afflato umoristico – consolidato e infatti si sente, sulla serie, la mano ferma dell’autore. Ritchie sa come si fa, a mescolare gli ingredienti, a tenere il piede in due staffe senza compromettersi, tirando fuori il meglio da ogni genere e senza annacquare il discorso. The Gentlemen è intrattenimento di pregevole fattura; veloce, diabolicamente divertente, dissacrante ma mai (troppo) sopra le righe, più che abile a intrecciare i tormenti privati e professionali dei personaggi, moderno nell’utilizzo dei piccoli espedienti che facilitano la comprensione dello spettatore, come nel caso delle grafiche che intervengono per chiarire, spesso ironicamente, le pagine che meritano un’attenzione particolare.
Oltre la superficie e il mix di genere, manca sotto la pelle della storia un fuoco anticonformista; spettacolare è la confezione e proprio per questo avrebbe meritato uno spessore diverso. Poco male, se si considerano le premesse, l’intrattenimento frenetico e spensierato. La cosa migliore di The Gentlemen è Kaya Scodelario. Usa con intelligenza i diktat della storia e li incorpora in modo creativo nella “sua” Susie. Glaciale come ogni grande mente criminale che si rispetti, è abitata da un’attrice che sa lavorare sulle pieghe della storia (e del personaggio) per bilanciare l’azione e la violenza con il salutare umorismo che rimette a posto le cose.