mercoledì, Settembre 11, 2024
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The Curse, recensione della serie con Emma Stone e Nathan Fielder

La recensione di The Curse, la serie ideata e interpretata da Nathan Fielder e Benny Safdie, protagonisti insieme ad Emma Stone. Disponibile su Paramount+.

Probabilmente molti spettatori di The Curse troveranno piuttosto ostica la scrittura di Nathan Fielder. Ciò li porterà a pensare ad un’operazione particolarmente estrema, ansiogena, respingente. Bene, noi siamo qui per rassicurarvi: è esattamente l’esercizio mentale che il comico canadese vuole che facciate, ma la miniserie firmata Showtime e A24 non è assolutamente un’eccezione alla regola delle sue creature.

I 10 episodi sono infatti pregni di tutta quanta la poetica di Fielder, che è autore, attore e produttore (e anche regista di qualche puntata) insieme a Benny Safdie. Di fatto vedere la serie vuol dire fare un viaggio all’interno della mente di un creativo che ha fondato la sua intera carriera su dei prodotti completamente metatestuali e pregni di una satira nera lavorata sul cringe nella sua accezione etimologicamente più accurata. Basti dare uno sguardo ai due show che l’hanno reso famoso, cioè Nathan for You, parodia di un reality, e il mockumentary HBO The Rehearsal. In senso strettamente linguistico The Curse è la summa dei due registri di questi due titoli.

La recitazione del duo è una crociata verso la decostruzione dell’immagine che la televisione statunitense veicola, specialmente quando si tratta della messa in scena di prodotti legati alla vita reale del Paese, ancora meglio se riguardanti tematiche sensibili e la cui importanza reale viene spesso soppiantata da interessi personali, siano essi convertibili in termini di visibilità o di risoluzione di traumi. “In realtà siamo tutti dei freak, maledetti dalla modalità con cui affrontiamo le nostre stesse vite”, questo ci vogliono dire Fielder e Safdie, con la loro scrittura e la loro interpretazione, anche se è Emma Stone il cuore del progetto, brava come non mai a portare in scena quel disagio schizofrenico e fragilissimo che compone la nuova altra faccia della luna del Sogno Americano.

I coniugi Seigel su HGTV

Whitney (Stone) e Asher (Fielder) sono una coppia di neosposini che vuole fare del bene per la loro comunità, Española in Nuovo Messico. Sono dei benefattori e degli altruisti che vogliono creare nuovi posti di lavoro, costruire delle case/specchio completamente green (c’è tutta una spiegazione su cosa le renda tali che sarebbe interessante approfondire) e rivitalizzare la comunità multiculturale, inglobando tradizione e modernità. Insomma, sono una benedizione di Dio sulla Terra, a patto che possano fare tutto davanti alle telecamere.

I signorini belli, bravi e innamorati sono infatti protagonisti di un show tutto loro su HGTV (un’emittente televisiva che tra l’altro esiste veramente negli USA) dal titolo incredibilmente esemplificativo a pensarci bene: Flipanthropy. A dire la verità forse è più corretto affermare che “saranno” i protagonisti di uno show tutto loro su HGTV a patto che arriveranno alla fine delle riprese. Un percorso, a ben vedere, tutt’altro che semplice, perché costellato da malumori all’interno della coppia, le resistenze da parte di una comunità problematica che vede i loro sorrisi tirati di buon occhio e, infine, l’ossessiva ambizione del loro produttore, Dougie Schecter (Safdie), un manipolatore che vuole prendere il controllo dell’intera operazione e trasformarla secondo le sue voglie.

Tra i tre si creerà un gioco di potere che finirà con l’enfatizzare la disfunzionalità della coppia, la quale, per risultare perfetta davanti alle telecamere, non dovrà solo avere la capacità di rimanere unita, ma anche avere un bambino e scrollarsi di dosso la brutta reputazione dei genitori di Whitney. E non è che i tre non abbiano già dei problemi individuali, più o meno sotto forma di un vuoto esistenziale che pensano di poter riempire con un altruismo dopato, mentre l’unica cosa che funziona pare essere una sorta di masochismo congenito. Come se non bastasse Asher viene anche maledetto da una bimba solo perché non ha gli ha voluto dare 100 dollari. Sì, forse diciamo che sarebbe ancora più corretto affermare che i coniugi “potrebbero essere” i protagonisti di uno show tutto loro su HGTV a patto che arriveranno vivi alla fine delle riprese.

Una miniserie originale e “faticosa”

The Curse non è una miniserie per tutti e non è una serie da binge watching, ma un lavoro che va centellinato perché è molto facile non riuscire a digerirlo. Il linguaggio che utilizza è perennemente “ostile” allo spettatore perché inquisitorio nei confronti dei protagonisti e della realtà che vivono, avendo poi sempre la premura di evidenziare le loro meschinità piuttosto che le loro fragilità, le quali però rimangono la parte meravigliosa della serie, forse anche per le difficoltà con la quale emergono. Lo spettatore odia i personaggi sin da subito, odia il loro non essere in grado di relazionarsi con gli altri e il loro goffo arrivismo egoriferito, ma man mano empatizza (a fatica), condividendo le loro angosce al punto da odiare, invece, la realtà in cui vivono, che li costringe ad essere così.

L’idea (straordinariamente realizzata) è quella di fare veramente un reality sulla vita reale, improntando su di esso una satira decadente, psichedelica e quasi metafisica del mito dell’immagine della società statunitense, perfettamente rappresentata dalla mistificazione ideologica che la televisione compie e le conseguenze che ciò ha sulle persone. Questa è la maledizione di The Curse, che coglie tutti e tre i protagonisti, ognuno a suo modo predisposto a subirla. Il circolo di dolore in cui vengono imprigionati arriva a chi guarda in modo incredibilmente forte grazie a questo felicissimo cortocircuito in cui il dietro le quinte dello show viene ripreso secondo la medesima logica dello show in sé. Dal punto di vista dei protagonisti tutto si confonde, tutto si mescola e tutto si distrugge nel tentativo di trovare il proprio bandolo della matassa e affrontare emotivamente questa esistenza che ha più l’apparenza di un fitto gomitolo di lana piuttosto che un panno passato su di una tavola da stiro.

Stone interpreta (alla perfezione) una sociopatica che vuole trovare l’emancipazione attraverso il riscatto di un nome che si è arricchito fregandosene del sociale, eppure non riesce ad amare il prossimo, non riesce ad amare le fragilità del marito né tanto meno le proprie idiosincrasie. Fielder, dal canto suo, veste i panni di un compagno totalmente devoto, combattuto tra l’adorazione del riflesso di sua moglie e la paranoia di un qualcosa che si è alterato nel loro progetto, come un cattivo auspicio. L’amore per il sociale che millantano la complessata Whitney e il servile Asher in The Curse si trasforma in orrore per il sociale ed orrore del sociale, lo stesso che evoca la maledizione e quindi quel velo di surreale alla storia. Un tipo di orrore che agisce sottopelle, come evocato dalla suggestiva colonna sonora di John Medeski, mosso dalla promessa di poter esplodere in qualsiasi momento e far valere le sue ragioni su coloro (o colui) sulla quale è stata lanciata.

Guarda il trailer ufficiale di The Curse

GIUDIZIO COMPLESSIVO

The Curse è l’inquietante miniserie firmata Showtime e A24, ideata da Nathan Fielder da Benny Safdie, che ne sono anche protagonisti insieme alla eccezionale Emma Stone. Un’opera tipica del comico canadese, che riprende la sua idea di satira dell’America portando davanti alle camere il dietro le quinte (che è della tv e che è della vita) attraverso la medesima messa in scena del reality. Una serie molto ostica, ansiogena e a tratti surreale, animata da una ironia cringe e nera come la pece, scomoda per chi la recita e per chi la guarda. Uno straordinario cortocircuito semantico in cui l’amore per il sociale diventa orrore attraverso lo svelamento di una serie di verità scomode che riguardano sia i personaggi e sia l’America di cui sono rappresentanti. E poi c’è una maledizione lanciata da una bambina.

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The Curse è l’inquietante miniserie firmata Showtime e A24, ideata da Nathan Fielder da Benny Safdie, che ne sono anche protagonisti insieme alla eccezionale Emma Stone. Un’opera tipica del comico canadese, che riprende la sua idea di satira dell’America portando davanti alle camere il dietro le quinte (che è della tv e che è della vita) attraverso la medesima messa in scena del reality. Una serie molto ostica, ansiogena e a tratti surreale, animata da una ironia cringe e nera come la pece, scomoda per chi la recita e per chi la guarda. Uno straordinario cortocircuito semantico in cui l’amore per il sociale diventa orrore attraverso lo svelamento di una serie di verità scomode che riguardano sia i personaggi e sia l’America di cui sono rappresentanti. E poi c’è una maledizione lanciata da una bambina. The Curse, recensione della serie con Emma Stone e Nathan Fielder