Ogni epoca ha i propri idoli: siano essi vitelli d’oro o banconote con il volto di un presidente stampato sopra, ma l’essere umano sembra incapace di resistere a determinate situazioni, trovando sempre nei piatti di lenticchie un richiamo più seducente di qualunque primogenitura (la storia biblica di Esaù docet).
Sono le regole dei sette peccati capitali a dominare la scena della società capitalista, spietata, incline all’arrivismo, preda di uno storytelling egotico e pronta a tutto pur di ottenere ciò che vuole, raggiungendo scopi ed obiettivi premeditati: e proprio a tutto questo sembra aver pensato lo scrittore Bentley Little quando ha costruito la complessa allegoria dietro il suo romanzo del 2015, “The Consultant”, plasmando i generi in base alle proprie esigenze per raccontare una storia più che contemporanea ammantata di orrore, mistero, violenza e verità, nella quale nessuno sembra immune al fascino discreto della corruzione morale… in nome delle tentazioni.
Desta quindi curiosità l’arrivo del romanzo sul piccolo schermo della piattaforma di streaming Prime Video a partire dal 24 febbraio: dalla carta alle immagini, l’universo distorto e grottesco di The Consultant prende vita in un mix di generi, sospeso tra il thriller e la dark comedy parossistica, grazie anche ad un cast in stato di grazia capitanato da un luciferino Christoph Waltz insieme a Nat Wolff, Brittany O’Grady e Aimee Carrero.
Nella serie, un nuovo consulente, Regus Patoff (Waltz), viene assunto con il compito di migliorare le attività della CompWare, compagnia di gaming basata su app. L’arrivo improvviso dell’uomo, dopo l’improvvisa e brutale scomparsa del suo fondatore, crea scompiglio e sconforto tra i dipendenti che si trovano a far fronte a nuove esigenze e sfide che mettono tutto in discussione, comprese le loro stesse vite.
L’uomo vende l’anima al diavolo in nome della propria frivola volontà e dei più reconditi desideri: da sempre questo mito aleggia sui destini della nostra specie, diventando oggetto di speculazioni, opere letterarie, film e serie tv. Il basso e l’alto, la cultura elitaria e quella popolare si sono spesso incontrate per raccontare questo campo minato nel quale muoversi è un pericoloso labirinto, un rischio non calcolato e fatale dal quale è impossibile svincolarsi con facilità e leggerezza.
Con queste premesse, The Consultant usa quindi la formula (e il linguaggio) della modernità per raccontare i nostri archetipi oscuri, riaggiornando l’eterno mito del patto diabolico ai nostri tempi pazzi di ambizione e arrivismo, nei quali il lavoro si trasforma spesso in una prigione senza uscita (e con la benché minima intenzione di nobilitare l’uomo, aristotelicamente parlando).
Un’ allegoria spregiudicata delle contraddizioni odierne
Il Regus Patoff di Christoph Waltz, grazie all’inconfondibile sorriso sghembo dell’attore e alla sua gigantesca presenza scenica, si trasforma in un Mefistofele al passo con i tempi interessato a stipulare contratti (vantaggiosi) mettendo in discussione le esistenze dei suoi “assistiti” o clienti, scombussolando le loro fragili vite e le poche certezze che hanno collezionato: esattamente come nella Bibbia, il diavolo non si pone sul cammino umano per perseguire il male, ma per sviarlo dalla strada del bene mettendolo alla prova.
Il tutto, raccontato però nel microcosmo specifico di una compagnia very cool dove si lavora allo sviluppo di app e videogiochi, nella quale il fatturato conta più delle vite umane e delle loro esigenze psicofisiche. Un mondo nel quale Mr. Patoff sembra muoversi con agilità e disinvoltura, pronto ad intercettare perfino le più lievi fluttuazioni sul mercato, le febbrili “necessità oscure” che vibrano nelle coscienze – e nei cuori di tenebra – delle persone, dando loro ciò che vogliono e togliendolo alla stessa velocità.
Ma più che un emissari diabolico, il Regus di Waltz è un personaggio da thriller-horror, emerso dalle viscere di un incubo di Stephen King, alieno e “di un altro mondo”, inafferrabile, umano eppure così mostruoso da nascondere orrori indicibili dentro di sé. Si muove esitante lungo una Stairway to Heaven di vetro, pesante come un elefante in bilico su una lastra sottile, pronta ad incrinarsi per sempre (come del resto le esistenze spezzate degli altri protagonisti).
La mancanza di umanità di Patoff bilancia la troppa umanità degli altri, pedine di carne e sangue che lottano, soffrono, si dannano per migliorare le proprie condizioni senza capire di esserne diventati schiavi. Elaine e Craig si allontanano dai loro modelli letterari di partenza, ma nel farlo si avvicinano di più al cuore degli ipotetici spettatori che li osservano dall’altro lato dello schermo: sono giovani, rampanti, affamati di vita, successo e creatività. Vogliono tutto dall’esistenza e, forse, anche a qualunque costo, pronti a macchiarsi chissà di quale peccato pur di ottenere ciò che vogliono.
E The Consultant, con la sua regia incalzante e forsennata, caratterizzata da un montaggio sostenuto e da una natura concisa delle narrazione stessa (gli episodi durano a malapena 30 minuti), si configura come un’allegoria spregiudicata delle contraddizioni odierne, tra le luci accecanti di facili miraggi che trascinano fuori strada, risucchiando in maelstrom pericolosi, viaggiatori incerti e confusi dell’esistenza alla ricerca di se stessi e dilemmi morali che si affacciano alla ribalta del mondo, sollevando scomodi dubbi etici.
La compagnia di gaming è un piccolo acquario ad immagine e somiglianza del nostro mondo, nel quale si muovono pesci più grandi e piccoli, squali e feroci predatori: il mondo del lavoro odierno, l’eccessiva avidità del capitalismo più rapace, vengono messi alla berlina e filtrati attraverso lo sguardo indagatore della lente deformante del genere, che si conferma ancora una volta come il linguaggio ideale per liberarsi da vincoli realistici e narrare il quotidiano in modo trasversale e contaminato.
The Consultant sfrutta quindi le armi affilate del cinismo, del thriller e dell’orrore sottile per sfidare le convenzioni sociali e lanciarsi in una feroce satira sulla rapacità capitalista, umana e consumistica, svelando – con lucido disincanto – gli orrori invisibili che albergano negli insospettabili angoli oscuri di ognuno di noi.