The Boys è pronta a tornare su Prime Video con la sua dose di irriverente umorismo, gusto exploitation e affinità per l’azione iperbolica. La serie, basata sul fumetto best-seller del New York Times creato da Garth Ennis e Darick Robertson, dopo un primo e un secondo ciclo torna con questo nuovo capitolo che riporta, davanti alla macchina da presa, la squadra di attori che ha contribuito al suo successo: tra questi, Karl Urban, Jack Quaid, Antony Starr, Giancarlo Esposito, Erin Moriarty, Chace Crawford e la new entry Jensen Ackles. La serie, nominata agli Emmy, tornerà con tre episodi dal 3 giugno, seguiti da un nuovo episodio ogni venerdì fino allo spettacolare finale di stagione in programma venerdì 8 luglio.
È passato un anno dalle vicende che hanno chiuso la seconda stagione: Homelander è apparentemente “sotto controllo”, Butcher lavora per il governo come del resto anche Hughie (che continua la sua relazione con Starlight). Ma sia il capitano dei Super (Supes) che il leader dei The Boys vogliono trasformare quella calma apparente in un tripudio di sangue e violenza: così, quando i The Boys apprendono la notizia dell’esistenza di una misteriosa arma Anti-Super, la sua ricerca li spingerà a scontrarsi con i Sette iniziando una vera e propria guerra, inseguendo nel frattempo il mito del leggendario primo supereroe Soldier Boy.
The Boys ha abituato il suo pubblico ad un mix esplosivo di violenza grafica, azione, umorismo dissacrante e ritmo indiavolato; un hellzapoppin’ post moderno irriverente e divertito (quanto divertente, soprattutto per lo spettatore) che nasconde dietro di sé riflessioni ben più profonde, con radici che si diramano fin dal cuore oscuro e pulsante della cultura americana e dello stile di vita a stelle e strisce.
I supereroi diventano quasi un pretesto per raccontare altro, utilizzando – come succede spesso – l’arma del genere per definire i chiaroscuri del reale, definendo la realtà contraddittoria che ci circonda e nella quale siamo immersi. Il valore aggiunto di questa terza stagione, è indubbiamente la capacità – da parte di showrunner e sceneggiatori – di alzare la posta in gioco, di continuare a narrare argomenti “caldi” senza incontrare le paludi minacciose della stagnazione drammaturgica, quando gli argomenti sono terminati e si finisce per girare intorno al nulla.
Questa terza stagione ha quindi la capacità, dal punto di vista visivo, di consolidare la collaudata formula di partenza arricchendola di una meta-riflessione legata ai generi e alle loro forme di fruizione: nel corso dei primi sei episodi (visti in anteprima), la creatura dell’executive producer e showrunner Eric Kripke sfrutta i modelli di comunicazione di altri media per continuare il proprio racconto, adottando le logiche e le dinamiche soprattutto televisive per svelare, ancor di più, le ombre dei sette Super (Supes), mostrando allo stesso tempo quali sono i meccanismi oscuri che tramano nel dietro le quinte di certi show. Reality, talk, ma anche musical e spettacoli celebrativi: generi che si inseguono e media che si palesano, in una girandola incessante e pirotecnica, pronta a puntare sempre all’iperbole visiva e allo shock retinico.
Uno dei punti cardine di The Boys, che viene ovviamente rispettato in questo nuovo capitolo, è l’eccesso grafico dal gusto exploitation e tarantiniano, che trasforma anche la violenza in un Grand Guignol gigione e spettacolare tanto per i personaggi che ne sono protagonisti, quanto per gli spettatori; il concetto di show diventa la costante dell’intrattenimento, e la serie Prime riconferma così, ancora una volta, il suo talento virtuoso nel saper rileggere e interpretare una realtà ormai dominata da cinecomic, supereroi e adattamenti dei fumetti per lo schermo con sguardo disincantato, consapevole e maturo.
Ecco perché le vicende dei The Boys di Billy Butcher e dei Sette di Homelander toccano da vicino gli eventi che si susseguono, inesorabili, intorno a noi, affrontando tematiche e contenuti quanto mai vicini al nostro quotidiano: il ruolo delle star e una riflessione amara sullo stardom, ma anche le dipendenze, il razzismo, il sessismo e la natura tossica di certi ambienti di lavoro incapaci di svincolarsi da un patriarcato atavico… la realtà si rigenera tra le gabbie del fumetto, non viene edulcorata né “lavata” delle proprie colpe, ma interpretata attraverso lo sguardo deformante di una lente che finisce per regalare, soprattutto a chi guarda, un punto di vista nuovo e inedito sul mondo.