lunedì, Gennaio 13, 2025
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The Big Cigar, recensione della serie con André Holland

Basata sull'omonimo articolo di Joshuah Bearman, The Big Cigar è disponibile su Apple TV+ a partire dal 17 maggio.

Era il 2013 quando l’inedita coppia formata da Jack Nicholson e Michelle Obama, quest’ultima in collegamento dalla Casa Bianca in pompa magna, annunciava il vincitore dell’Oscar per il miglior film di quell’anno: Argo. La pellicola diretta da Ben Affleck sui sei funzionari dell’ambasciata statunitense fuggiti da Teheran in piena rivoluzione khomeinista, grazie all’elaborata operazione Canadian Caper ideata dall’agente dell’intelligence Tony Mendez, era riuscita, contro ogni pronostico, a sbaragliare film sulla carta dal pedigree più importante (il mix di western e blaxploitation del Django Unchained di Quentin Tarantino, il colossal biografico Lincoln di Steven Spielberg, lo struggente Amour di Michael Haneke).

Una storia vera legata a doppio filo con il mondo di Hollywood – per aiutare gli ostaggi nella loro fuga, fu messa in piedi la produzione di un fittizio film di fantascienza, grazie anche alla complicità del make-up artist John Chambers, storico truccatore della saga de Il pianeta delle scimmie -, poi raccontata sia dallo stesso Mendez, nel suo libro autobiografico, che dal giornalista Joshuah Bearman in un celebre articolo (entrambe le fonti letterarie sono state alla base della sceneggiatura di Chris Terrio). L’interesse di Bearman per questo genere di storie, dove il mondo della fabbrica dei sogni ha preso parte a momenti significativi della storia politica americana, non si è però fermato agli eventi dietro ad Argo.

Quando Hollywood incontra la storia politica 

Risale infatti al 2012 The Big Cigar, articolo scritto da Bearman per la rivista Playboy riguardante il coinvolgimento dello storico produttore della New Hollywood Bert Schneider (Easy Rider e L’ultimo spettacolo, solo per citare alcuni dei film importanti che ha contribuito a realizzare) nella rocambolesca fuga a Cuba di Huey P. Newton, fondatore del movimento rivoluzionario delle Pantere Nere insieme a Bobby Seale. L’articolo sulla storia di Newton, accusato ingiustamente d’omicidio e braccato dai federali, doveva inizialmente essere adattato sul grande schermo dal duo di registi Jonathan Dayton e Valerie Faris (Little Miss Sunshine, La battaglia dei sessi), ma il progetto è stato alla fine trasformato in una miniserie sviluppata da Jim Hecht (Vincere il tempo: l’ascesa della dinastia dei Lakers). Sei episodi in arrivo sulla piattaforma Apple TV+ a partire dal 17 maggio (dopo l’uscita delle prime due puntate, le restanti seguiranno una scadenza settimanale).

Ma cosa poteva accomunare due personaggi d’estrazione sociale così diversi? Il rampollo di una ricca famiglia di origini ebraiche, figlio del presidente della Columbia Pictures, e il leader di un gruppo armato che vedeva la polizia come forze di occupazione ostili alla sua gente? Schneider (nella serie interpretato da Alessandro Nivola) era da sempre stato vicino alle idee della sinistra radicale, tanto da leggere un telegramma del leader nord-vietnamita Ho Chi Minh durante il suo discorso per la vittoria dell’Oscar (statuetta ottenuta per il documentario Hearts and Minds). Un convinto sostenitore del potere del cinema di cambiare le menti delle persone, estimatore di pellicole fortemente politiche come La battaglia di Algeri del nostro Gillo Pontecorvo. Dall’altra parte, il rivoluzionario Newton (ritratto con efficacia da André Holland) conosceva bene l’importanza di costruire un’immagine di sé potente, in grado di lasciare un’impronta indelebile anche nell’immaginario pop (la celebre foto con basco, fucile e lancia).

Una miniserie troppo didascalica

The Big Cigar mette in scena la storia di due “rivoluzionari di spettacolo” trasportandoci nei tumultuosi anni ’70 sin dalla sua sigla, dove immagini della controcultura e delle tensioni razziali si alternano al glamour hollywoodiano, sulle note soul di “Underdog” di Sly & The Family Stone. La ricostruzione storica proposta dalla serie è funzionale e riesce a proporre un commento musicale abbastanza diverso dalla solita playlist di hit degli anni ’70 sentite e risentite in altre produzioni, sia televisive che cinematografiche. Sullo sfondo dei party frequentati dal jet set losangelino trovano spazio anche importanti celebrità dell’epoca, come il comico Richard Pryor (Inny Clemons), che instaurerà una profonda amicizia con Newton, e il succitato Jack Nicholson (solo una breve apparizione, dove è interpretato con una smorfia stereotipata dal giovane attore Owen Roth).

Il personaggio di Huey P. Newton, attraverso la voce suadente di Holland, racconta la sua storia in prima persona, accompagnandoci per tutti gli episodi con una voice over a tratti eccessivamente didascalica. Un didascalismo che si può riscontrare in quasi tutta la scrittura di The Big Cigar, sin dal suo classico incipit in media res. Una trovata abusata dalla maggior parte dei biopic di produzione hollywoodiana, quella di partire da un momento cruciale della storia per poi tornare indietro e mostrarci come il protagonista sia arrivato fino a quel punto. Non aiuta la scelta del formato seriale, visto che l’impressione generale lasciata da The Big Cigar, dopo la visione, è quella di una sceneggiatura pensata inizialmente per un lungometraggio e solo in un secondo momento aggiustata per poter riempire sei episodi da quaranta minuti circa. Una decisione che fa un disservizio all’interessante vicenda presa in esame e alle due carismatiche personalità a cui gira attorno.

Guarda il trailer ufficiale di The Big Cigar

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Basata su un altro articolo di Joshuah Bearman, già ispiratore del film premio Oscar Argo, The Big Cigar mette in scena un'altra vicenda dove la fabbrica dei sogni hollywoodiana incontra la storia politica americana. La strana amicizia tra il leader e cofondatore delle Pantere Nere Huey P. Newton e il produttore di Easy Rider Bert Schneider, che lo aiuterà a scappare a Cuba, è purtroppo raccontata in un modo troppo didascalico. Nonostante una ricostruzione storica degli anni '70 funzionale, la miniserie lascia con la sensazione di un progetto pensato inizialmente per un lungometraggio e solo in seguito diluito per adattarsi al formato seriale.
Marco Scaletti
Marco Scaletti
Prima sono arrivati i fumetti e i videogiochi, dopo l'innamoramento totale per il cinema e le serie tv. Consumatore onnivoro dei generi più disparati, dai cinecomics alle disturbanti opere del sommo Cronenberg | Film del cuore: Alien | Il più grande regista: il succitato Cronenberg o Michael Mann | Attore preferito: Joaquin Phoenix | La citazione più bella: "I gufi non sono quello che sembrano" (I segreti di Twin Peaks)

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Basata su un altro articolo di Joshuah Bearman, già ispiratore del film premio Oscar Argo, The Big Cigar mette in scena un'altra vicenda dove la fabbrica dei sogni hollywoodiana incontra la storia politica americana. La strana amicizia tra il leader e cofondatore delle Pantere Nere Huey P. Newton e il produttore di Easy Rider Bert Schneider, che lo aiuterà a scappare a Cuba, è purtroppo raccontata in un modo troppo didascalico. Nonostante una ricostruzione storica degli anni '70 funzionale, la miniserie lascia con la sensazione di un progetto pensato inizialmente per un lungometraggio e solo in seguito diluito per adattarsi al formato seriale.The Big Cigar, recensione della serie con André Holland