Scene da un matrimonio (Scenes from a Marriage) è la nuova miniserie in cinque puntate scritta e diretta da Hagai Levi (In Treatment, The Affair), che segna il ritorno di un grande classico cine-televisivo sui nostri schermi contemporanei. L’opera originale, infatti, è datata 1973 e riporta la firma del grande cineasta Ingmar Bergman che portò per la prima volta in televisione il dramma, intimo e “da camera”, di una coppia che affronta la fine ineluttabile del proprio matrimonio. Dalla tv al cinema il passo fu breve, ma dobbiamo solo al talento di Levi il ritorno di questo cult sui nostri schermi, dopo un trionfale passaggio presso la 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, previsto per il 20 settembre solo su Sky e NOW.
Per raccontare in chiave post-moderna e contemporanea le varie sfaccettature che caratterizzano le relazioni di coppia – impegnate in un eterno dialogo su temi come la monogamia, il tradimento, l’amore, l’odio, il desiderio, lo scorrere del tempo, i figli, l’istituzione stessa del matrimonio e la sua controparte, il divorzio – Levi si affida al talento immenso di Oscar Isaac (Il collezionista di carte, Dune) e Jessica Chastain (X-Men: Dark Phoenix, IT – Capitolo Due): dopo aver studiato insieme e lavorato sullo stesso set (nel film 1981: Indagine a New York), nella miniserie i due attori si ritrovano interpretando Mira e Jonathan, una coppia americana che attraversa, come molti altri coniugi, gli alti e i bassi che caratterizzano una relazione. Lei è un’ambiziosa dirigente di un’azienda tecnologica che è insoddisfatta dal suo matrimonio; lui, invece, è un professore di filosofia che si mostra accomodante nel tentativo disperato di mantenere intatta la loro relazione. Ma la vita, i problemi, gli stimoli esterni e le necessità individuali metteranno a dura prova il loro rapporto e l’amore che hanno sempre creduto di provare l’uno per l’altra.
Scene da un matrimonio è un doloroso viaggio nelle consapevolezze dell’età adulta, compiuto attraverso le fasi freudiane del lutto: dolore, negazione, senso di perdita, rabbia, accettazione e infine ripresa. Elementi che emergono tra riflessioni esistenziali e drammi quotidiani, dimostrando come la fine di un rapporto sia, a tutti gli effetti, una dolorosa accettazione della fine di un percorso, un capolinea emotivo (e personale) che mette tutti a dura prova, ma che spinge ognuno a reagire in modo diverso. E Hagai Levi, con la sua scrittura – compiuta a quattro mani insieme ad Amy Herzog – ci trascina in una seduta di psicanalisi più che in una seduta di terapia di coppia, perché davanti non abbiamo solo due coniugi ma due esseri umani alle prese con l’ostacolo più difficile: crescere, imparando ad accettare la caducità dei sentimenti e i cambiamenti più inaspettati.
Il nucleo narrativo della miniserie ripercorre fedelmente le linee guida già tracciate dal capolavoro di Bergman, ma la capacità innata del nuovo Scene da un matrimonio è quella di aggiornarsi alla nostra contemporaneità, di dialogare abilmente con il mondo che circonda gli spettatori senza chiudersi, a riccio, nel racconto di un viaggio al limite della coppia. Ed ecco quindi che, nella nostra realtà contemporanea, le donne vivono la complessità del ruolo di mogli, madri e lavoratrici tra luci e ombre, alla ricerca costante di un’affermazione personale che la società sembra quasi non voler ancora accettare; e sono sempre loro a dover subire, drammaticamente, le regole ambigue del mondo del lavoro. Allo stesso tempo gli uomini si interrogano sulla paternità ad ogni costo e sul loro rapporto con i figli e una dimensione più domestica, tra gli ostacoli e le contraddizioni dell’eterno binomio ragione-sentimento, mentre le coppie discutono di bisogni, desideri, necessità e relazioni poliamorose che lasciano comunque, dietro di sé, profondi strascichi emotivi (come dimostra la coppia formata sullo schermo da Nicole Beharie e Corey Stoll, amici di Mira e Jonathan).
Scene da un matrimonio è un Kammerspiel chiuso su se stesso ma aperto al respiro del mondo: superato l’iniziale senso claustrofobico di una narrazione alla quale il pubblico cine-televisivo non è più abituato, contraddista da una forte integrità aristotelica spazio-temporale figlia del teatro, con (quasi) sempre solo i due protagonisti a dividersi la scena e gli infiniti dialoghi, anche lo spettatore più distratto percepisce di essere l’altro attore tirato in causa, un occhio voyeuristico pronto ad osservare la scena, colto in un oscuro scrutare che scava, progressivamente, nella matrice del sentimento. E anche l’occhio di Levi, quello meccanico della MdP, segue le dissertazioni tra Mira e Jonathan accarezzando tanto le loro parole quanto i loro corpi, seguendoli tra gli spazi angusti della loro casa, un nido-prigione accogliente e limitante, un “posto delle fragole” al quale tornare, alla ricerca della memoria emotiva di un matrimonio.
Oscar Isaac e Jessica Chastain, forti di una solida amicizia, riescono a scavare nel profondo dei sentimenti umani più oscuri e contraddittori mostrandosi nudi, senza difese, con i loro cuori d’attori in mano: così la finzione e la realtà finiscono per essere coinvolte in un insolito cortocircuito – sancito dall’inizio di ogni episodio, dove si mostra il dietro le quinte del set, pochi attimi prima di iniziare a girare – e allo spettatore non resta che assistere, impotente, alla lunga ombra di una grandissima storia d’amore immortalata al proprio crepuscolo, pronta a proiettarsi ben oltre lo schermo fino a lasciare, proprio nel cuore di chi guarda, il germe di domande esistenziali alle quali è fin troppo difficile trovare risposta.