C’è una lunga tradizione del cinema statunitense, in voga soprattutto tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, che ruotava intorno all’analisi dell’alta borghesia. Quel club esclusivissimo composto da ricconi con scheletri dell’armadio, arrivisti, arrampicatori sociali, cocktail, party in piscina, resort lussuosissimi e tutti quei luoghi costruiti su sangue e disperazione in cui la “povera gente” farebbe di tutto per entrare. Spesso con magri risultati. La loro attrattiva in chiave cinematografica sta nel poter essere adoperati per raccontare una qualsiasi epoca della Storia americana in modo preciso, data la loro capacità di resistere nel corso del tempo evolvendosi di volta in volta senza scomparire mai del tutto, anzi divenendo spesso testimoni dei vari cambiamenti sociali.
Lo sapeva Blake Edwards, lo sapeva William Wyler, lo sapeva Billy Wilder e più recentemente Woody Allen e Damien Chazelle, così come lo sanno Abe Sylvia e Juliet McDaniel, ideatori di Palm Royale, la nuova serie originale Apple TV+ che debutta in piattaforma il 20 marzo, i quali hanno cercato di unire classico e moderno rielaborando l’intero immaginario in chiave femminile. Un titolo che va ad aggiungersi alla sempre più numerosa lista del colosso dello streaming maggiormente in rampa di lancio al giorno d’oggi dal punto di vista della qualità dei suoi prodotti e che non si è mai fatto molti problemi dal punto di vista del budget da investire.
Questa serie, come diverse altre, può infatti vantare un cast d’eccezione guidato da una Kristen Wiig (Le amiche della sposa, Wonder Woman 1984) in una forma splendida, affiancata da Allison Janney, Ricky Martin, Josh Lucas, Leslie Bibb, Amber Chardae Robinson, Mindy Cohn, Julia Duffy, Kaia Gerber, Carol Burnett e il premio Oscar Laura Dern (Storia di un matrimonio). C’è anche un cameo veramente speciale legato all’ultima, splendida, attrice della nostra lista, ma non ve lo sveliamo qui. Palm Royale non è però solamente una lista di volti stranoti e talentuosi, ma anche un titolo in grado di giocare con il contesto che decide di esplorare elaborando un impianto complesso e costantemente in evoluzione per sfruttarne al massimo le potenzialità. Peccato che a volte il peso ne risenta.
Maxine goes to Palm Beach
1969, Maxine (Wiig) è una splendida donna di mezza età con il fascino per quel mondo fatto del lusso più sfrenato che consuma le sue giornate sui campi da golf, sfrecciando su auto alla moda per andare nelle boutique più in voga e poi piazzarsi a bordo di piscine olimpioniche, servite da tuttofare latini e palestrati sempre pronti a viziarle in ogni modo possibile. A gradire qualche festa la sera. Insomma, un mondo a cui, così descritto, difficilmente si potrebbe non volere entrare a far parte.
La donna è però spinta da qualcosa di più forte della semplice voglia, come se sentisse di doversi unire ad esso per diritto acquisito e quindi trovasse ingiusto rimanere ad osservarlo da fuori. Motivo per cui è ossessionata da un certo country club che è la punta di diamante di questo circolo esclusivissimo da cui però viene prontamente scacciata, costretta a tornare alla sua vita, ben più modesta, e al suo miniappartamento in un motel nella periferia di Palm Beach, dove neanche l’arancione dorato del tramonto pare riuscire ad arrivare. Un nido che Maxine è così decisa ad abbandonare da abbassarsi a fare qualsiasi cosa, tutto pur di entrare nelle grazie delle signore altolocate che gestiscono lo sfarzosissimo circo, anche inanellare una serie di bugie per spacciarsi per una di loro. In realtà non riuscendoci mai del tutto, dato che le suddette signore, come delle guardiane impietose di un mondo inaccessibile, difficilmente si fanno imbrogliare da una recita da prima elementare.
La sfida per Maxine non sarà però tanto quella di entrare all’interno di quel mondo (la donna ha un’alleata inconsapevole, ma incredibilmente preziosa dalla sua parte) quanto riuscire a sopravvivere al suo interno, dato che è molto diverso e ben più complicato e costruito rispetto a quanto la donna possa sperare di immaginare. Dopotutto una ricchezza e un benessere del genere non può provenire dal nulla e soprattutto non può provenire da qualcosa di limpido e innocente. Certo, la donna è spinta da qualcosa in più della semplice voglia, ve lo abbiamo detto, e sarebbe disposta a fare qualsiasi cosa, anche di non limpido e innocente.
Un lussuoso centro di gravità permanente
Palm Royale punta su una rielaborazione di trovate cinematografiche piuttosto classiche che mischiano la commedia e il noir per destrutturare i mondi dell’alta borghesia statunitense, dove i rapporti di potere, anche tra maschile e femminile, vengono regolati da logiche autonome rispetto all’esterno, evidenziandone le contraddizioni. Il titolo racconta la sua storia sottoforma di una ricostruzione, gettando un velo di dubbio suoi sui sviluppi e sul suo esito. Una struttura azzeccata quando si vuole utilizzare un simile immaginario come lente per leggere la realtà.
La serie è pensata per funzionare come un progressivo smascheramento delle logiche del microcosmo e di chi ne fa parte (ma anche di chi ne faceva parte e di chi vuole farne parte) rivelando una natura piuttosto complessa e stratificata, tenuta insieme dal personaggio di Maxine che con il suo ingresso rischia di alterare in modo irreversibile uno status quo che è durato per molto tempo. In più c’è il racconto del momento storico, che vede una grande frattura politica (Guerra in Vietnam) e l’affiorare dei movimenti femministi. Tutto questo è possibile grazie soprattutto al lavoro sui personaggi, che sono molti e sono approfonditi e, cosa fondamentale, ben legati sia in modo antitetico che conforme a seconda dei casi.
Palm Royale sembra però soffrire di un sovraccarico figlio della tendenza ad ampliare molto le ramificazioni delle narrazione, figlia a sua volta della voglia di affrontare più tematiche possibili e, tramite esse, legarsi al contemporaneo. Per sua fortuna non perde mai di vista il suo “lussuoso centro di gravità permanente”, che le permette di tenere sempre la barra dritta, nonostante qualche incostanza. Quello e la sua protagonista, un personaggio interessante e interpretato in modo veramente solido, ben supportato da una galleria di attori affiatati e tra i quali troviamo delle eccellenze del panorama.