Fa un certo effetto vedere Kate Winslet nel pieno della propria maturità anagrafica. È come se il suo splendido volto corrucciato, lievemente scalfito dalla rughe, ci condannasse a prendere coscienza dello scorrere del tempo. Colei che è stata nella seconda metà degli anni ’90 l’emblema – insieme all’amico Leonardo DiCaprio – della giovinezza grazie a Titanic di James Cameron è diventata una donna di (quasi) mezza età. 46 anni da compiere in autunno, una notevole carriera cinematografica alle spalle, un Oscar (per The Reader), e ora il ritorno, a distanza di dieci da Mildred Pierce di Todd Haynes, sul piccolo schermo con una serie crime tra le più attese della stagione: Omicidio a Easttown, dal 9 giugno disponibile su Sky e NOW.
All’apparenza siamo al cospetto di un’opera protagonista-centrica, come suggerisce anche il titolo originale, Mare of Easttown, salvo poi accorgerci ben presto che in realtà quella prodotta da HBO è una serie polifonica. Se è vero che il personaggio di Mare è il centro nevralgico del racconto, è altrettanto vero che la protagonista rappresenta il punto di riferimento per uno spettatore che lei stessa conduce alla scoperta di un microcosmo provinciale qual è Easttown, sobborgo all’estrema periferia di Philadelphia dove tutti i suoi abitanti sono legati da rapporti o di parentela o di amicizia. Una località certamente non amena, bensì contraddistinta da quel plumbeo grigiore tipico delle cittadine proletarie ai limiti della metropoli, dove però la vita sembra scorrere tutto sommato tranquilla. Tutta apparenza, ovvio.
Mare (Kate Winslet) è una detective la cui vita sta andando letteralmente a rotoli. A lavoro è condizionata dal prolungarsi di un’indagine sul rapimento della figlia di una vecchia amica che non perde occasione per metterle pressione con l’aiuto dei media. E anche nel privato le cose non vanno meglio. Da una parte l‘ex marito, Frank (David Denman), si sta per risposare e si è trasferito vicino a casa sua, dall’altra Mare deve fare i conti con una situazione familiare complicata: tra i battibecchi con l’anziana madre Faye (Jean Smart) e la figlia adolescente Siobhan (Angourie Rice), e il rapporto con l’impegnativo nipotino Drew. Mentre il ricordo di una tragedia avvenuta nel passato accentua il precario equilibrio delle relazioni tra i vari componenti della famiglia.
Come se non bastasse, l’improvviso omicidio di una ragazza madre, Erin (Cailee Spaeny), induce i superiori di Mare a far affiancare nelle indagini la detective da un giovane collega che si è appena distinto per meriti di servizio, Colin Zabel (Evan Peters). Se Mare non è per nulla contenta di avere una talentuosa recluta al suo fianco, Colin sembra provare nei confronti della collega non solo ammirazione, ma anche un sentimento più profondo. Dovrà però fare i conti con il seducente professore di scrittura creativa Richard (Guy Pearce), il quale si invaghisce della detective.
Omicidio a Easttown è un whodunit convenzionale che ha nella scelta di erigere a protagonista una figura femminile il suo unico elemento “rivoluzionario”. Non dissimile rispetto ai suoi colleghi uomini che hanno contraddistinto il genere fino ad oggi, anche Mare è una specie di Marlowe che vaga per le strade vuote della cittadina in cui è nata, cresciuta e ha messo su famiglia tormentata da un passato con sui sembra impossibile fare i conti e un presente che proprio da quel passato è irrimediabilmente condizionato. Così, più che un eroina, la protagonista della serie diretta da Craig Zobel (The Hunt), e sceneggiata da Brad Ingelsby (interessato ai perdenti, come dimostra anche il sottovalutato Tornare a vincere, con Ben Affleck), è una antieroina tragica che sa di non poter sperare in una redenzione o in una seconda possibilità.
Contraddistinto dalla dinamicità narrativa tipica del thriller, Omicidio a Easttown possiede la disperazione e il nichilismo tipici del noir. Il dramma, infatti, non si riduce alla sola figura di Mare, caratterizzata da più ombre che luci, ma si espande, come se fosse un morbo, all’intera comunità di Easttwon. Ognuno nella cittadina della Pennsylvania nasconde qualcosa: che sia una relazione extraconiugale, oppure un successo ottenuto in modo illecito (per cui magari ci si è presi pure gli onori), o persino il coinvolgimento in un efferato omicidio. Ed è forse questo l’aspetto più interessante della serie: il fatto che nessun personaggio è davvero innocente, neppure le vittime.
Anziché assecondare le aspettative dello spettatore, offrendogli certezze o rassicurazioni, Omicidio a Easttown rinnega qualsiasi possibile ritorno all’ordine – in antitesi rispetto alla miglior tradizione classica del cinema americano (si pensi al Western) -, già dalla prima puntata introduttiva, in cui è descritto un microcosmo umano caratterizzato da un caos mortifero all’interno del quale il brutale omicidio di una ragazzina non rappresenta altro che la classica goccia capace di far traboccare un vaso già colmo da tempo, forse dai primordi dell’umanità. La placida (quantomeno all’apparenza) provincia americana diviene così emblema di una società civile tramutatasi in una giungla dominata da leggi di natura ancestrali.
Ed è proprio a livello descrittivo che la serie di Craig Zobel e Brad Ingelsby offre il meglio di sé, facendo calare progressivamente lo spettatore in una realtà circoscritta, ma non per questo meno complessa, sfaccettata e ambigua da un punto di vista morale. Certo, tale approfondimento comporta un prezzo da pagare, e Omicidio a Easttown paga pegno soprattutto per quanto concerne l’approfondimento di alcuni personaggi. Se Mare è tratteggiata alla perfezione, così come buona parte dei personaggi secondari, a risultare eccessivamente strumentali sono il co-protagonista Colin (un comunque bravo Peters, già visto recentemente in WandaVision), e soprattutto il Richard interpretato da Guy Pearce, che appare e scompare con troppa facilità durante il corso delle puntate, e che forse è lì solo per ricordarci che nella famiglia tutta al femminile di Mare (nipotino a parte) non c’è ormai più posto per gli uomini (a cominciare dai maschi alfa come Richard, affascinante scrittore con un solo libro all’attivo, che guarda caso è stato particolarmente amato dalle lettrici).
Eppure, nonostante tutto, il giudizio sulla serie non può che essere positivo. Lungo il corso delle 7 puntate la narrazione si sviluppa con la giusta progressione drammaturgica, e i colpi di scena sono ben calibrati. In sintesi, Omicidio a Easttwon è un buon prodotto di genere che cattura fin da subito l’attenzione dello spettatore, capace di dialogare in modo proficuo con i cliché tipici del genere di appartenenza. Non avrà la disturbante forza iconica della prima stagione di True Detective – dalla quale prende in prestito un certo esistenzialismo spicciolo -, ma si dimostra efficace. E Kate Winslet, la cui bravura non la scopriamo certo oggi, rappresenta senza dubbio un incentivo alla visione.