Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino è la nuova serie, in arrivo su Amazon Prime Video a partire dal 7 maggio, che rielabora – in 8 episodi – le suggestioni provenienti dal romanzo omonimo (Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, 1978) e dal film cult (maledetto) del 1981 diretto da Uli Edel. Una storia di adolescenza perduta, droga, prostituzione e contraddizioni sullo sfondo di una Berlino prima della caduta del Muro. Protagonisti di questo nuovo adattamento sono i giovani esordienti Jana McKinnon, Lena Urzendowsky, Lea Drinda, Michelangelo Fortuzzi, Jeremias Meyer e Bruno Alexander affiancati, tra gli altri, dagli “adulti” Angelina Häntsch (Karin, la madre di Christiane F.), Sebastian Urzendowsky (Robert, il papà di Christiane), Bernd Hölscher (Günther) e Hildegard Schmahl nei panni della nonna di Babsi, Anni.
La serie Amazon Prime segue la storia di sei adolescenti che lottano senza sosta per avverare i loro sogni di felicità e libertà lasciandosi alle spalle genitori, insegnanti e chiunque non li comprenda. Christiane (McKinnon), Stella (Urzendowsky), Babsi (Drinda), Benno (Fortuzzi) Axel (Meyer) e Michi (Alexander) si lanciano nelle notti berlinesi senza limiti o regole per celebrare vita, amore e tentazioni finché non comprendono che questa estasi non solo distruggerà la loro amicizia ma li farà sprofondare in un abisso apparentemente senza uscita.
Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino rappresenta il tentativo di aggiornare un’istantanea crudele e drammatica dell’adolescenza perduta degli anni ’70 – ’80 adattandola a misura di un pubblico più giovane e mainstream, quello che è un consumatore abituale di piattaforme e (nuova) serialità. Il risultato è un prodotto esteticamente patinato e coinvolgente, ritmato e seducente come una canzone di Bowie (colonna portante più che sonora), ma allo stesso tempo caotico tanto nella struttura quanto negli obiettivi. Infatti la terribile storia di Christiane, novella Alice che si perde in un Paese delle Meraviglie tossico e oscuro, viene edulcorata e rimaneggiata, spogliandola degli aspetti più sordidi che appartengono alla realtà che ci circonda e che spesso non fa sconti, ma solo prigionieri.
Gli “orrori” quotidiani che vengono mostrati, il maelstrom nel quale lentamente scivolano Christiane e i suoi amici – incapaci di reagire – diventano un espediente narrativo per catturare l’attenzione dello spettatore, un macabro orpello nella narrazione di giovanili storie di ordinaria follia metropolitana. Concepito come un coming of age moderno e disincantato, Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino si avvicina a serie di tendenza come Euphoria o We Are Who We Are per il racconto della Generazione Z, della gioventù contemporanea che può avere delle similitudini con quella degli anni ’70, ma non possono incarnare la stessa faccia di un’unica medaglia. Quest’ultime serie citate hanno messo in luce le contraddizioni e le difficoltà che incontrano i giovani di oggi durante il loro percorso di crescita, una strada in salita che li porterà ad entrare nel mondo degli adulti in modo non indolore, ma attraverso traumatiche scoperte ed epifanie rivoluzionarie.
Le contraddizioni che accompagnano l’adolescenza, la voglia di ribellione e trasgressione, quanto la libertà spregiudicata che accompagnano i giovanissimi sono il fil rouge che lega tra loro tutte queste serie: ma se nelle ultime due la narrazione del presente ha una sua estetica ben codificata, un’atmosfera che ben incarna la natura fluida e in continuo divenire dei teenagers odierni, in Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino questo aspetto ritorna prepotentemente ma fuori contesto, collocato in una storia e in un preciso hic et nunc spazio-temporale al quale non appartiene. La finestra temporale collocata tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 mostrata nella serie è patinata, glam-rock e decadente, affascinante ma fittizia, una festa in maschera impeccabile e post-moderna: a ricordarci che siamo in una Berlino Ovest prima della caduta del Muro, lacerata dalle contraddizioni interne, ancora alla ricerca di una propria identità ma nel pieno di un fermento culturale senza precedenti, ci pensa la voce di David Bowie, vero e proprio nume tutelare delle vicende di Christiane e soci.
Bowie, che trasformò la capitale tedesca in una seconda casa, accompagna le (dis)avventure dei giovani protagonisti senza raccontarne i tormenti interiori, sottolineando piuttosto gli estetizzanti passaggi tra reale e onirico, scivolando in quella dimensione parallela – e fittizia – creata dall’eroina nella quale Christiane e gli altri cercano rifugio per scappare dalle grigie incomprensioni di un mondo adulto che non li capisce né accetta. Nella nuova Weimar dissoluta, decadente e popolata da discoteche non c’è posto per loro ma nemmeno il tempo necessario per fermarsi a riflettere sui problemi che li attanagliano e divorano, macerando nelle loro giovani coscienze; così più che ai goliardici eroinomani di Trainspotting o ai pasoliniani tossici dei “nostrani” Amore Tossico e Non Essere Cattivo (entrambi diretti da Claudio Caligari), i giovani protagonisti di Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino finiscono per somigliare a delle imitazioni sulla scena, a giovani adulti che rubano a piene mani dall’iconografia del più classico “sesso, droga e rock ‘n’ roll” più per noia che per dolore.
Così, quella che era stata un’istantanea crudele e scioccante di una generazione perduta, il canto lacerante dell’innocenza corrotta svelato dalla giovanissima Christiane F., si trasforma infine in una narrazione sospesa nello spazio ma soprattutto nel tempo; in una messinscena superficiale e posticcia di dilanianti drammi shakespeariani che rimangono sullo sfondo delle luci a neon e della buona musica, schiacciati da una ricostruzione che ha completamente eliminato ogni riferimento storico e culturale, qualunque accenno al crepuscolo di un’epoca edonistica e decadente – gli anni ’70 – che si apprestava a mostrare i propri fragili piedi d’argilla al mondo, dilaniata dalla Guerra Fredda e popolata da una generazione allo sbaraglio che aveva creduto, ma non aveva ricevuto nessun segno né miracolo in cambio della loro fede.