Maniac è il titolo della nuova miniserie targata Netflix diretta da Cary Fukunaga, già mente creativa dietro il grande successo della prima stagione di True Detective. Per sancire il suo ritorno sul piccolo schermo, il regista si mette alla prova con l’adattamento dell’omonima serie tv norvegese.
Per la versione statunitense, il cast scelto è tra i migliori che si possano desiderare: nei panni dei protagonisti figurano infatti Emma Stone (La La Land) e Jonah Hill (The Wolf of Wall Street) affiancati da Justin Theroux, Sally Field, Sonoya Mizuno e Gabriel Byrne.
Dietro lo script della serie c’è Patrick Somerville, già creatore di prodotti di successo come The Bridge e The Leftovers. Due fuoriclasse della moderna serialità al servizio di un progetto atipico, talmente rivoluzionario da infrangere i tradizionali confini della fruizione seriale spiazzando gli spettatori. La miniserie in dieci episodi è disponibile su Netflix dal 21 settembre.
Ambientata in un mondo e in un tempo molto simili ai giorni nostri, Maniac (qui il trailer ufficiale) racconta la storia di Annie Landsberg (Stone) e Owen Milgrim (Hill), tra loro sconosciuti e coinvolti in un misterioso esperimento farmaceutico, ciascuno per le proprie ragioni.
Annie è delusa, ha perso il controllo della sua vita ed è ossessionata dal rapporto tormentato con la madre e la sorella; Owen, il quinto figlio di una ricca famiglia di imprenditori di New York, conduce la sua vita combattendo contro una forma di schizofrenia.
Annie e Owen non vedono un grande futuro davanti a loro, ma trovano una speranza nella cura del Dr. James K. Mantleray (Theroux), un percorso farmaceutico che consiste in una precisa sequenza di pillole in grado di riparare ogni danno della mente. Ma nel corso della sperimentazione, non tutto andrà ovviamente come programmato.
La recensione di Maniac, la miniserie Netflix con protagonisti Emma Stone e Jonah Hill
Maniac è una serie spiazzante, in grado di lasciare frastornati e smarriti, come persi nel dedalico labirinto di una mente contorta: e il senso di disorientamento non riguarda tanto lo sviluppo della trama, ragionevolmente convenzionale, quanto l’intersecarsi ininterrotto di piani orizzontali e verticali, di rimandi e citazioni, di generi e registri che si alternano con impressionante rapidità da un episodio all’altro.
Nel corso dei dieci episodi Fukunaga conduce sapientemente per mano lo spettatore nelle intricate vie delle menti contorte di Owen ed Annie: in apparenza i due giovani sono semplici pedine solitarie in una distopica metropoli del futuro, ingabbiata in un’estetica retrò anni ’70 ma proiettata in un inquietante scenario che spinge alle estreme conseguenze i capisaldi degli anni ’80.
Il sogno americano si è trasformato in incubo: la classica formula “compra e consuma” è mutata in una schiavitù, e Annie e Owen si muovono smarriti come pedine senza logica su una scacchiera troppo complessa. La sceneggiatura di Somerville gioca, con estrema abilità, con il confine sottile che intercorre tra i generi: nel corso della narrazione vengono sperimentati tutti, senza escluderne nessuno, condendo ogni episodio con una distopica dose di cinico umorismo nero.
Le interpretazioni del cast, in primis l’eclettica Stone e il misurato Hill, contribuiscono al processo d’attrazione e fascinazione che risucchia sempre più lo spettatore nella visione, rendendolo dipendente dai perturbanti freudiani che materializzano le menti di Owen e Annie, unica via per affrontare le ataviche paure e i demoni del passato che rendono impossibile il loro presente.
Maniac è un viaggio nel potenziale della mente spronato dai progressi della tecnologia; ma è, prima ancora, un percorso tra gli ostacoli dell’animo umano e del cuore, che afferma con vigore l’unica verità, ovvero che “solo gli amanti sopravvivono” (citando Jim Jarmusch) e che la connessione tra due esseri umani permette di superare difficoltà d’ogni tipo.