giovedì, Febbraio 6, 2025
HomeSerie TvRecensioni Serie TvLa caduta della casa degli Usher, recensione della serie Netflix di Mike...

La caduta della casa degli Usher, recensione della serie Netflix di Mike Flanagan

La recensione de La caduta della casa degli Usher, la nuova serie di Mike Flanagan e adattamento dell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe. Disponibile dal 12 ottobre su Netflix.

Una dimora lugubre e fatiscente, dotata del sinistro potere di atterrire lo sventurato forestiero con un irrimediabile senso di morte, avvinghiandolo poi in una cupa e dolente tristezza. Non vi è speranza nella casa degli Usher, poiché qui regnano desolazione e orrore. Dopo essersi addentrato nelle spettrali Hill House (2018) e Bly Manor (2020), Mike Flanagan varca la soglia di un’altra casa da incubo: La caduta della casa degli Usher è disponibile su Netflix dal 12 ottobre.

Il cineasta statunitense, firma ormai nota (con giusto merito) nel panorama della serialità horror contemporanea, avrà sicuramente messo in conto che l’eleganza tematica e la ricercatezza formale della penna di Edgar Allan Poe sarebbero state difficili da replicare sul piccolo schermo. Tenendo conto della tendenza del regista al libero adattamento, resta comunque difficile credere che tradire così esplicitamente lo spirito dell’opera originaria rientrasse nelle sue intenzioni sin dal principio.

La caduta della casa degli Usher (1839), classico della letteratura gotica e nel novero dei capolavori firmati da Poe, rifiuta strenuamente di spiegare origine e motivazioni dell’orrore puro e terrificante che mette in scena: la casa diroccata e ammuffita, capace di soffocare qualsiasi slancio vitale dei suoi abitanti, causa e simbolo perturbante della disgregazione di una famiglia un tempo felice (e della cui storia, tuttavia, non ci viene rivelato nulla), se ne sta lì, da decenni, in attesa. Al terrorizzato amico-narratore, spettatore inerme dell’inarrestabile putrefazione della magione in cui si trova costretto a soggiornare, non è dato sapere se i fratelli Roderick e Madeline Usher stiano espiando qualche peccato o se semplicemente siano stati colti nel drammatico momento di passaggio tra la vita e la morte.

Se in Hill House Flanagan era riuscito – pur con una serie di perdonabili deroghe – a preservare il ruolo centrale della casa nell’economia dei racconto, ne La caduta della casa degli Usher essa non è altro che una comparsa ricorrente e assai lontana dal ruolo di protagonista assoluta che rivestiva tanto nell’opera di Shirley Jackson quanto in questa di Edgar Allan Poe. Quello della casa infestata che si anima travolgendo le già precarie esistenze dei suoi abitanti è un topos talmente ingombrante da costituire un genere a sé e, allo stesso tempo, un segno già caricato di innumerevoli significati (psicanalitici, prima di tutto) col solo apparire in scena.

Un ricettacolo di suggestioni

Mike Flanagan si accontenta di vaghe suggestioni, automatiche e intuitive per lo spettatore, rifuggendo qualsiasi approfondimento ulteriore. Il tugurio in cui l’ormai decrepito Roderick Usher (Bruce Greenwood) passa in rassegna le morti dei suoi eredi, descrivendo all’attonito investigatore C. Auguste Dupin (Carl Lumbly) il triste epilogo della sua personale saga familiare, è poco più di un contenitore, grottesca cornice di un racconto inventato di sana pianta, quasi del tutto alieno al suo illustre precedente letterario.

Ciascuno degli otto episodi che compongono la serie, del resto, trae ispirazione da un diverso racconto di Poe: non adattamenti tout court, ma ricettacoli di suggestioni che collocano la narrazione a metà strada tra tributo allo scrittore, pretesto narrativo e divertissement fine a sé stesso. L’esito è perfettamente in linea con gli standard odierni. Flanagan soddisfa le aspettative di un pubblico sempre più avido di scene splatter e jump scares ma ormai poco avvezzo a quell’inquietudine spiazzante e travolgente che è caratteristica imprescindibile di un horror riuscito o, più in generale, di un buon film di suspense.

Cr. Eike Schroter/Netflix © 2023

La caduta della casa degli Usher assicura comunque dei momenti di sincero divertimento e forse proprio in virtù dei suoi innegabili difetti. L’(auto)ironia di fondo, presente soprattutto nella descrizione dei vari membri della famiglia Usher (uno più “scoppiato” dell’altro) e nella costruzione sopra le righe di alcune situazioni cruciali, non basta però a toglierci il dubbio che la vena comica del racconto sia per lo più involontaria. Parallelamente, il cast rodato (ricordiamo che Flanagan è solito usare lo stesso gruppo di fedeli attori in tutte le sue produzioni) e la sceneggiatura solida che rifugge incongruenze o attentati alla sospensione dell’incredulità, garantiscono alla macchina narrativa di funzionare alla perfezione, ma sempre a scapito dell’unica emozione che avremmo voluto provare: la paura.

Un’originalità ripetutamente sacrificata

Per quanto la firma dell’autore sia inconfondibile, si ha perciò la spiacevole sensazione che l’originalità di Flanagan venga ripetutamente sacrificata (come era già successo nel precedente The Midnight Club) in nome di logiche che hanno più a che vedere con la “classifica dei più visti” su Netflix che con l’estro creativo di chi sta dietro alla macchina da presa. Ad esempio, la scelta di abbandonare l’ambientazione gotica del racconto, spostandone la collocazione temporale al XXI secolo, potrebbe essere scambiata per una prova di coraggio e libertà espressiva. Roderick, il patriarca della famiglia Usher 2.0, è l’amministratore delegato della Fortunato, chiaramente ispirata alla Purdue Pharma, la casa farmaceutica rea di aver introdotto sul mercato il controverso oppiaceo noto come Oxycontin.

Potremmo discutere a lungo sull’opportunità di inserire una caricatura della famiglia Sackler, arricchita da qualche reminiscenza à la Succession, all’interno di una serie ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe, ma limitiamoci piuttosto a domandarci se oggigiorno, così abituati a prodotti patinati e visivamente accattivanti, siamo ancora in grado di distinguere a colpo sicuro una parodia ben fatta da un esperimento inutile e pacchiano. Un’abitazione pericolante e con i muri di cartongesso forse un giorno crollerà, ma una villa lussuosa e costosa potrebbe restare comunque sfitta. La caduta della casa degli Usher è questo: una casa dalle solide fondamenta, ma destinata a perdersi in un quartiere di case tutte uguali (ma forse arredate meglio).

Guarda il trailer de La caduta della casa degli Usher

GIUDIZIO COMPLESSIVO

La caduta della casa degli Usher è perfettamente in linea con gli standard odierni. Flanagan soddisfa le aspettative di un pubblico sempre più avido di scene splatter e jump scares ma ormai poco avvezzo a quell’inquietudine spiazzante e travolgente che è caratteristica imprescindibile di un horror riuscito o, più in generale, di un buon film di suspense.
Annalivia Arrighi
Annalivia Arrighi
Appassionata di cinema americano e rock ‘n’ roll | Film del cuore: Mystic River | Il più grande regista: Martin Scorsese | Attore preferito: due, Colin Farrell e Sean Penn | La citazione più bella: “Questo non è volare! questo è cadere con stile!” (Toy Story)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

RECENTI

- Advertisment -
La caduta della casa degli Usher è perfettamente in linea con gli standard odierni. Flanagan soddisfa le aspettative di un pubblico sempre più avido di scene splatter e jump scares ma ormai poco avvezzo a quell’inquietudine spiazzante e travolgente che è caratteristica imprescindibile di un horror riuscito o, più in generale, di un buon film di suspense. La caduta della casa degli Usher, recensione della serie Netflix di Mike Flanagan