martedì, Novembre 28, 2023
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Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, recensione dei primi due episodi della serie Amazon

La recensione dei primi due episodi della serie Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, disponibile dal 2 settembre su Prime Video.

Il ritorno nella Terra di Mezzo custodisce in sé la nostalgia del lungo viaggio dell’infanzia (o dell’adolescenza) che finalmente riprende, seguendo la rotta verso un porto sicuro. Una sensazione che aveva, in parte, già restituito la trasposizione di Lo Hobbit sul grande schermo e che portava sempre la firma del suo “demiurgo pantocratore” cinefilo Peter Jackson. Ma questa volta è Amazon ad alzare la posta in gioco cercando di evocare, direttamente dalle memorie e dal corpus letterario lasciato da J.R.R. Tolkien, quel mondo nato dalla fantasia dell’autore britannico: il risultato è il progetto Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, mastodontica serie in 8 puntate – da 715 milioni di dollari – che approderà sul Prime Video a partire dal prossimo 2 settembre.

La serie racconterà le eroiche leggende della mitica Seconda Era della storia della Terra di Mezzo. Ambientato migliaia di anni prima degli eventi narrati in Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, questo magniloquente show porterà gli spettatori in un’era lontana in cui furono forgiati grandi poteri, alcuni regni ascesero alla gloria e caddero poi in rovina, improbabili eroi furono messi alla prova, la speranza appesa al più esile dei fili e, infine, uno dei più grandi cattivi usciti dalla penna di Tolkien minacciò di far sprofondare tutto il mondo nell’oscurità. Partendo da un momento di relativa pace, la serie segue un gruppo di personaggi – alcuni già noti, altri nuovi – mentre si apprestano a fronteggiare il temuto ritorno del male nella Terra di Mezzo. Dalle più oscure profondità delle Montagne Nebbiose, alle maestose foreste della capitale elfica di Lindon, all’isola mozzafiato del regno di Númenor, fino ai luoghi più estremi sulla mappa, questi regni e personaggi costituiranno solo l’inizio di un’epica avventura.

Per analizzare l’impatto artistico ed emotivo che una simile opera può avere sul pubblico odierno, bisogna partire da una premessa: i primi due episodi – che abbiamo avuto la fortuna di vedere in anteprima – non bastano per articolare un giudizio ben più complesso sull’intera operazione, sulle sue buone intenzioni e sulla forza insita in questo storytelling ricollocato in un universo “indipendente”, legato al mondo tolkieniano (che cita e dal quale deriva, ovviamente), ma molto più libero di rielaborare le informazioni a disposizione creando un unicum. Sì, perché Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere non è né un reboot televisivo né tantomeno un remake o un adattamento; non si tratta nemmeno di una trasposizione da medium a medium, quanto di una raffinata decisione di imboccare, di nuovo, il “sentiero di mattoni gialli” che conduce fin nel cuore della Terra di Mezzo, con i suoi misteri inquietanti che aleggiano sulla fragile quiete dei vari popoli che la abitano, alla ricerca di una pacifica convivenza minacciata dall’avvento di una nuova minaccia che risponde al nome di Sauron, l’Oscuro Signore.

L’impianto tecnico evocato dal sapiente occhio meccanico di J.A. Bayona (Jurassic World: Il regno distrutto) è magniloquente, visionario e immaginifico, capace di sfruttare al massimo le potenzialità della CGI per riportare in vita un intero universo, un microcosmo talmente complesso da aver avuto già bisogno dell’avvento del nuovo millennio per poter vedere la luce. Dalla resa di Jackson – indimenticabile – a quella di Bayona si nota un’evoluzione ulteriore del linguaggio audiovisivo, sempre più improntato sul concetto di “scrittura per immagini” e in grado di sfruttare al massimo la potenza evocativa delle suggestioni ambientali: ci sono luoghi – come le terre degli elfi – che flirtano con un immaginario ben radicato che affonda le proprie radici tra l’epica e il misticismo dei culti misterici, strizzando l’occhio a una “nuova mitologia” del fantasy coniata, soprattutto, da Tolkien stesso.

Leggende e storie della tradizione orale di vari popoli confluiscono nelle immagini che si susseguono sullo schermo televisivo che non è mai stato così ambizioso e opulento, dimostrando quanto i “limiti” iniziali del medium siano stati abbondantemente valicati, trasformandosi in una risorsa preziosa. Perché uno dei vantaggi più grandi che ha a disposizione la serialità è proprio la dilatazione del tempo della narrazione, che può finalmente sfruttare aggirando la tirannia dello schermo d’argento. I primi due episodi creano un’esperienza immersiva per lo spettatore, conducendolo per mano nel cuore di un mondo che per molti somiglierà ad una novità, ma per tanti avrà il profumo malinconico del ritorno a casa; l’importante, ai fini della sceneggiatura, è la creazione di un solido set up per permettere agli eventi di dipanarsi, giocando fin da subito a carte scoperte (e con la seria consapevolezza di essere, comunque, davanti ad un evento storico per la Settima Arte e la televisione).

I personaggi vengono presentati progressivamente, focalizzando però quasi subito l’attenzione sui protagonisti di questo nuovo filone: un racconto sempre corale, ma che vede in risalto volti giovani che incarnano nuovi characters e che si prestano, allo stesso tempo, al ritorno di volti storici della saga de Il Signore degli Anelli, considerando che la storia narrata ne Gli Anelli del Potere ha luogo migliaia di anni prima degli eventi narrati nella trilogia cinematografica. Il pubblico ritroverà quindi un giovane Elrond (Robert Aramayo), qui araldo del re degli elfi, il “famoso” principe dei nani Durin (spesso solo evocato nel corpus tolkieniano) e farà anche la conoscenza dei pelopiedi, una particolare famiglia di Hobbit erranti che hanno in comune, con Bilbo, Frodo e co., l’istinto innato per i guai e un’attrazione per il fascino ignoto dell’avventura. Indubbiamente, però, a calamitare l’attenzione sarà la comparsa del motore immobile della serie, ovvero di quella giovane versione di Galadriel che nel film di Jackson era incarnata da Cate Blanchett, mentre qui a prestarle il volto è l’attrice britannica Morfydd Clark.

È proprio la dama elfica a rappresentare l’essenza dell’intera operazione: il pubblico medio non conosce il passato di Galadriel e la serie cerca proprio di colmare quel gap, di giustificare – in parte – le motivazioni dietro molti degli atteggiamenti adottati dall’elfa nel corso delle due trilogie cinematografiche, configurandola non solo come un’affascinante e saggia figura femminile, ma come un’intrepida guerriera dai nervi coriacei e dall’anima fragile, con la mente confusa e dilaniata dagli orrori immortali di una lunga guerra. Si capisce così da subito che il racconto de Gli Anelli del Potere verterà di più su una rappresentazione inedita di un femminino fantasy che si muove tra orchi, incantesimi, stregoni, elfi e nani ma che è in grado di riflettere, come uno specchio, la condizione delle donne che si fanno strada nel mondo attuale.

Galadriel e la piccola pelòpede Nory sono la rappresentazione (o la lente, attraversano la quale si riflette) di una società attuale nella quale le donne combattono per dei ruoli di potere o di primo piano: un aspetto socio-antropologico, quest’ultimo, che emerge attraverso le nuove modalità di fruizione del racconto audiovisivo che mostrano un’attenzione specifica verso quei personaggi che, in passato, sarebbero rimasti forse solo sullo sfondo (come dimostra anche il recente prequel di Game of Thrones, House of the Dragon). Ma la libertà creativa dietro Gli Anelli del Potere permette loro di emergere in modo dirompente, senza così trasgredire l’essenza dell’opera originale dell’autore, che viene invece scandagliata nel profondo, tra le pieghe della sua rappresentazione su carta, tanto da riaccendere i riflettori – dell’attenzione collettiva – ad esempio sullo Silmarillion, uno dei libri originali di Tolkien mai trasposti né al cinema né, ovviamente, in televisione.

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere è la conferma ulteriore – qualora ce ne fosse ancora bisogno – delle potenzialità infinite del medium televisivo al giorno d’oggi; l’impatto emotivo nell’immaginario collettivo viene solleticato dalla rappresentazione opulenta e strabiliante dei primi due episodi, destinati a configurarsi come un articolato set up che presenta, agli spettatori, situazioni e personaggi. E quest’ultimi vedono soprattutto le donne protagoniste, pronte a costruire la propria strada verso ruoli di potere o centrali in questo nuovo tassello del macroscopico universo creato dalla mente geniale di J.R.R. Tolkien. Un’operazione ambiziosa e suggestiva, che ha a disposizione un tempo (quasi) illimitato e un arco narrativo di 8 puntate per dimostrare la propria bontà, configurandosi proprio come una rielaborazione del corpus tolkieniano e non solo come una mera operazione commerciale, volta a sedurre – attraverso una mastodontica “operazione nostalgia” – quella sensazione di struggente malinconia che anima ancora tutti gli appassionati de Il Signore degli Anelli.

Il trailer de Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere è la conferma ulteriore delle potenzialità infinite del medium televisivo al giorno d’oggi; l’impatto emotivo nell’immaginario collettivo viene solleticato dalla rappresentazione opulenta e strabiliante dei primi due episodi, destinati a configurarsi come un articolato set up che presenta, agli spettatori, situazioni e personaggi. E quest’ultimi vedono soprattutto le donne protagoniste, pronte a costruire la propria strada verso ruoli di potere o centrali in questo nuovo tassello del macroscopico universo creato dalla mente geniale di J.R.R. Tolkien.
Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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