Nel novero delle dive prestatesi ad avventure seriali di vario tipo, l’ultima in ordine di tempo è sicuramente Naomi Watts che, in parallelo con il piccolo ruolo di Janey-E Jones in Twin Peaks, è stata scelta come protagonista assoluta di Gypsy, nuovo titolo Netflix diviso in dieci episodi. Jean Holloway (Naomi Watts, appunto) è una donna come tante altre che alterna il lavoro da terapista al ruolo di moglie e madre. Stanca della sua monotona quotidianità, Jean inizia a frequentare segretamente Sydney (Sophie Cook), ex fidanzata di un proprio paziente.
Giocando fin dal primo episodio con il camaleontico sguardo dell’attrice australiana, Gypsy si delinea come un serie televisiva quasi esclusivamente al femminile, indirizzata però ad un pubblico variegato sebbene non prettamente popolare. Limitando le azioni al minimo, l’opera si concentra – almeno nel pilot – sull’enigmatica protagonista, caratterizzata grazie alla perfetta mimica della Watts: non esplicitando i sentimenti e le emozioni, la donna non viene infatti dipinta attraverso i fatti o le parole, ma solo per merito dei suoi sguardi e delle sue allusioni.
Gypsy si delinea come un serie quasi esclusivamente al femminile, indirizzata però ad un pubblico variegato sebbene non prettamente popolare
La forza principale della produzione è quindi rintracciabile nella famosa diva che, da sempre particolarmente interessata ad incarnare le diverse sfaccettature della donna comune, diventa il nucleo centripeto della storia. Focalizzandosi su una corporeità utilizzata per sublimare il non-detto, la Watts riesce pertanto a delineare una figura in costante evoluzione, incapace tuttavia di essere completamente capita.
Gypsy: trailer della serie Netflix con Naomi Watts
Accanto alla celebre interprete, si fa spazio lo stile minimal di Sam Taylor-Johnson, chiamata a dirigere le prime due puntate. “Celebre” per Cinquanta Sfumature di Grigio, la regista londinese sembra ritornare alle proprie origini da artista e fotografa, svuotando l’immagine di qualsiasi eccedente dettaglio e contrapponendo la forza delle emozioni all’asetticità di una quotidianità messa in crisi.
Sebbene in alcuni passaggi le immagini risultino eccessivamente sovraccariche, l’alternanza dei due estremi – il vuoto della realtà coniugale e lavorativa contro il pieno della menzognera liaison con Sidney – viene rappresentata sia nel contenuto che nella messinscena, risultando quindi paradossalmente equilibrata nel suo insieme. Nonostante l’apporto della Taylor-Johnson sia limitato, si potrebbe inoltre sperare in un adattamento a questi principi anche negli episodi non diretti da lei.
La sceneggiatura superficiale non si preoccupa di sviluppare appieno i personaggi che ruotano attorno alla protagonista
Più superficiale appare al contrario la sceneggiatura, che non si preoccupa di sviluppare appieno i personaggi che ruotano attorno alla protagonista: se infatti la figura di Jean è innegabilmente interessante sotto molteplici aspetti, i volti che le gravitano attorno si sfumano un’inspiegabile indifferenza. Soprattutto in paragone con serie quali In Treatment della HBO o The Mentalist della CBS, le sedute di terapia e le sfere psicologiche dei pazienti sarebbero potute essere sviluppate con una maggiore accuratezza.