Gomorra è giunta al capolinea: la serie dei record, che ha definito l’immagine della serialità italiana nel mondo rinnovando i generi crime e neo-noir, lanciando nell’empireo televisivo – e cinematografico – nuovi talenti per consolidarne nel frattempo altri (come il regista Stefano Sollima, felicemente approdato a Hollywood con i successi di Soldado e Senza rimorso), è arrivata alla sua quinta e ultima stagione. Il gran finale debutterà in esclusiva – e in prima serata – su Sky e in streaming su NOW a partire dal 19 novembre, riportando sul piccolo schermo i volti che ne hanno segnato il successo: Ivana Lotito, Arturo Muselli ma soprattutto la coppia di amici-nemici Marco D’Amore (Security) e Salvatore Esposito (L’eroe), rispettivamente nei panni di Ciro Di Marzio e Gennaro “Genny” Savastano.
La nuova stagione della serie cult targata Sky Original riprende le fila del discorso interrotto alla fine della quarta e l’epilogo mostrato nel film L’immortale, spin-off con protagonista Ciro Di Marzio. Lo scontro tra la famiglia Levante e Patrizia ha lasciato Napoli in macerie, costringendo Genny a rinunciare al suo sogno di normalità per tornare repentinamente in campo. Ma si ritrova braccato dalla polizia, costretto a vivere in un bunker lontano dalla moglie Azzurra e dal figlioletto Pietrino, abbandonati per garantire loro una vita migliore. Il suo unico alleato è ora ‘O Maestrale, il misterioso boss di Ponticelli. Con una guerra imminente e i nemici sempre più agguerriti, una nuova scoperta sconvolge l’esistenza di Genny: Ciro Di Marzio è vivo ed è in Lettonia. E Genny sa bene che, dopo questa notizia, niente sarà più come prima.
Gomorra è ormai una garanzia: anche questa quinta – e ultima – stagione è capace di continuare il racconto per immagini inaugurato nel 2014 e di rifondare dalla base i codici di genere dando vita ad un neo-noir glocal, globale e locale allo stesso tempo, in grado di raccontare attraverso un esempio particolare – il microcosmo criminale di Scampia – la condizione delle periferie di tutto il mondo. Un concetto ribadito dallo stesso Roberto Saviano – autore dell’omonimo libro che ha ispirato la serie – durante la conferenza stampa attraverso la quale sono stati svelati i primi due episodi di questo quinto ciclo.
Una narrazione consolidata, consapevole di dover chiudere un cerchio iniziato tempo fa e bisognosa di conoscere il proprio epilogo: indubbiamente la qualità della regia è indiscutibile, figlia del rispetto verso dei canonici codici di genere, in grado di riproporre – in chiave post-moderna – i grandi topoi del noir declinato in tutti i suoi sottogeneri (crime e gangster movie su tutti). Dietro la macchina da presa si alternano Claudio Cupellini e Marco D’Amore stesso, pronto a calarsi ancora una volta nei panni del regista dopo la fatica del suo debutto con L’Immortale. Le scene d’azione e quelle più drammatico-introspettive si rincorrono, creando l’illusione di un drama in chiave action, incapace di dimenticare l’importanza del ruolo dei contenuti nello sviluppo di una storia.
I personaggi, divisi tra i soliti volti e delle new entry, assistono alla crescita costante della nube drammatica che avvolge le loro vite, spettatori attivi di una scena tragica che include intrighi, tradimenti, delusioni, lotte di potere e legami di sangue. I protagonisti hanno la caratura di personaggi shakespeariani trapiantati dai palchi inglesi a quelli delle periferie del mondo, contemporanei villain e anti-eroi che lo spettatore insegue per scoprire il cupo epilogo al quale andranno incontro e che già aleggia sui loro destini. Uno schema narrativo al quale Gomorra ha ormai abituato il proprio pubblico, pronto a scolpire la parola “fine” sulle vicende della famiglia Savastano e su tutto un microcosmo che, dal 2014, si è impresso con determinazione nell’immaginario collettivo tanto italiano quanto internazionale, aprendo le porte ad un nuovo modo di concepire la serialità post-moderna.
Ma è proprio questo rispetto nei confronti di un’ormai consolidata “tradizione narrativa” (e la fedeltà ad uno schema vincente) che sembra rallentare la scalata verso le stelle di Gomorra 5, soprattutto in questa ultima stagione: il ritmo incalzante e adrenalinico delle inquadrature che si susseguono (e delle vicende mostrate) quanto lo sforzo recitativo dei suoi protagonisti non riesce, almeno per i primi due episodi, a proporre un guizzo nuovo, un elemento diverso che possa contraddistinguere quest’ultimo ciclo dai precedenti. È davvero forse giunta la fine, arrivati a questo punto? Sì, parafrasando liberamente le domande esistenziali che poneva Jim Morrison in una celebre canzone dei The Doors, forse è davvero arrivato il momento di concludere nel migliore dei modi un arco narrativo che ha dato tanto agli spettatori ma, soprattutto, alla serialità nazionale.