Parlare di certi temi considerati scomodi – o tabù – è ancora un problema, perfino per la libertà creativa dell’audiovisivo. Cinema e televisione sono da sempre al passo coi tempi, vetrine animate dei mutamenti costanti della nostra società, delle mode in continuo divenire, dei costumi che cambiano in modo frenetico riavvolgendo il nastro del tempo e della Storia; eppure, anche per le casse di risonanza della pop culture certi argomenti restano difficili da maneggiare. È il caso della morte e del sesso, due temi che – non a caso – sono socialmente affiancati dalla notte dei tempi: eros e thanatos, sesso e morte appunto, la lezione freudiana che sconfina dalla pura psicanalisi per invadere il quotidiano e l’entertainment popolare.
Ma cosa succede quando una serie, ad esempio, sceglie di raccontare una storia incentrata su uno dei due? Le soluzioni sono poche: o si va incontro ad un’epocale débâcle dal sapore agrodolce, fallendo, oppure si assiste alla nascita di un gioiellino capace di aggirare la banalità, pur parlando “alla pancia” del proprio pubblico. Proprio come succede in Gigolò per caso, nuova serie comedy prodotta da Lucky Red insieme ad Amazon Studios, diretta da Eros Puglielli e disponibile su Prime Video dal 21 dicembre per un totale di sei scorrevolissimi episodi. Partiamo da un presupposto: la serie nasce come remake dell’originale francese Alphonse, che vedeva protagonista il Premio Oscar Jean Dujardin e ha sollevato non poche polemiche in Francia, dove è stata bollata come “misogina e sessista”, complici anche le accuse ai danni del creatore Nicolas Bedos.
Per la versione italiana, gli autori e sceneggiatori Daniela Delle Foglie e Tommaso Renzoni si sono progressivamente allontanati già a partire dal titolo, creando ex novo un microcosmo televisivo originale che ruota intorno alle (dis)avventure dei protagonisti che lo abitano e soprattutto dell’anti-eroe omonimo, Alfonso. Quest’ultimo, a seguito della malattia del padre (De Sica) con cui ha sempre avuto un rapporto conflittuale, scopre che il genitore gli ha sempre tenuto nascosto il suo vero mestiere, quello di gigolò. In crisi con la moglie Margerita (Angiolini) e in difficoltà economiche, Alfonso decide di rivoluzionare la sua esistenza e seguire le orme paterne, scoprendo una versione di sé del tutto inaspettata.
Una serie che guarda alla commedia all’italiana
Aggirando il titolo – calzante, certo, ma non particolarmente originale – la serie mostra invece la propria identità stilistica già a partire dai titoli di testa, sorretti da un’animazione irresistibile che richiama alla mente dello spettatore lo stile delle commedie all’italiana che hanno segnato, in tempi non sospetti, l’âge d’or del nostro cinema. Ed è proprio qui che batte il cuore dell’intera operazione: la serie non tratta un tema pruriginoso né scava, maliziosamente, in un tabù sociale di cui si parla ancora sottovoce (nonostante i nostri costumi e le abitudini più disinibite). Semplicemente si limita a riannodare i fili rossi di una tradizione portata avanti dalla nostra industria audiovisiva, dal nostro cinema che ha sempre raccontato gli italiani a partire dal loro rapporto proprio con il sesso.
Contraddittorio, nevrotico, dipendente o conflittuale, il legame con la passione – e l’altro sesso in generale – ha da sempre definito, sul piano socio-antropologico, la nostra identità, definendoci e permettendoci molto spesso di riderne, per esorcizzare paure e insicurezze. Nel caso di Gigolò per caso, l’abilità si annida in una scrittura brillante scandita da un ritmo irresistibile che sciorina battute, situazioni e gag con lucidità chirurgica; la regia di Puglielli, a sua volta, insegue l’onda lunga di quel ritmo trasformandolo in una narrazione per immagini dense, sature, ricche e pastose complici le scelte fotografiche. Il concetto di horror vacui domina la composizione e l’occhio meccanico segue i personaggi nell’intimità delle loro esistenze, costruendo le scene di sesso con stile e grazia, giocando con l’immaginario, solleticando le corde della fantasia e dell’erotismo.
Il sesso per raccontare il maschile e il femminile oggi
Ma la vera ciliegina sulla torta dell’intero progetto è, di sicuro, il casting: ogni attore ha il volto giusto per rappresentare il suo personaggio, contribuendo all’economia del racconto con la propria personalità e le capacità attoriali. Pietro Sermonti (La caccia), nei panni di Alfonso, è semplicemente perfetto per incarnare questo anti-eroe fragile e smarrito alla ricerca di sé, di un posto in un mondo che stenta a capire e che lo costringerà a passare per la via più insolita e scomoda per auto-determinarsi… ovvero il mestiere di gigolò. Ambra Angiolini (Le fate ignoranti – La serie) e Asia Argento (La Storia) incarnano, entrambe, lo yin e lo yang di un femminino forte, moderno e indipendente seppur differente, immortalato attraverso sfaccettature atipiche.
Ad arricchire in ultima battuta il cast principale c’è poi la presenza di Christian De Sica (visto di recente ne I limoni d’inverno) che bilancia, con abilità straordinarie da comédien e da navigato professionista della risata, la grazia elegante – e malinconica – ereditata da suo padre Vittorio e il lato più vitale e boccaccesco della propria carriera nei cinepanettoni, trasformando anche la battuta più piccola in un’iperbole funambolica. Ottimi anche i comprimari che accompagnano i protagonisti nel corso degli episodi, da Frank Matano (nei panni di un prete naif) passando per Giorgia Arena, Stefania Sandrelli, Claudio “Greg” Gregori e Antonio Bannò, fino alle imperdibili guest star che arricchiscono l’affresco umano dipinto sul piccolo schermo da Puglielli, ovvero Virginia Raffaele, Gloria Guida e Isabella Ferrari che sono semplicemente imperdibili.
Gigolò per caso quindi supera, nell’arco di sei episodi, le proprie stesse premesse: il sesso da fulcro del discorso diventa semplice espediente narrativo che permette alla serie di raccontare il maschile e il femminile odierni, evitando di cadere in banalità retoriche o sterili luoghi comuni. Complice una sceneggiatura intelligente e una regia ispirata, una premessa da tradizionale commedia all’italiana si trasforma pian piano (e in modo sottile) in un piccolo trattato socio-antropologico sugli italiani di oggi e sui loro rapporti personali, mettendo in scena – sul palcoscenico della vita – quella che Honoré de Balzac chiamava La Comédie humaine, la grande commedia umana dell’esistenza.