martedì, Gennaio 14, 2025
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Expats, recensione della miniserie con Nicole Kidman

Tratta dal romanzo "The Expatriates" scritto da Janice Y. K. Lee nel 2016, Expats è disponibile su Prime Video.

Si è da poco conclusa Expats, miniserie drammatica, disponibile in streaming su Prime Video, tratta dal romanzo “The Expatriates” della scrittrice di origini hongkonghesi Janice Y. K. Lee. Un racconto corale, di “stranieri in terra straniera”, portato sul piccolo schermo, in sei lunghi episodi, dalla regista e sceneggiatrice Lulu Wang (Posthumous, The Farewell – Una Bugia Buona). Una showrunner cinese naturalizzata americana: una scelta, almeno sulla carta, perfetta per dare a questo intreccio di storie di espatriati, ambientato a Hong Kong, quel punto di vista sia interno che esterno, necessario per descrivere la loro esistenza quasi da realtà parallela.

A capitanare il cast di Expats, un nome di peso come quello di Nicole Kidman, anche produttrice esecutiva della serie. Luminosa stella del firmamento cinematografico la cui luce, dopo i fasti dei primi anni 2000 (Moulin Rouge!, The Hours, Dogville), si era iniziata ad affievolire con la partecipazione a successi mancati (La bussola d’oro) e a pellicole per niente memorabili (Grace di Monaco). Un declino a cui è seguita una successiva rinascita televisiva, grazie a serie prestige targate HBO come Big Little Lies e The Undoing. Proprio in questa categoria della tv di qualità – che attinge a piene mani ai canoni di certo cinema drammatico indipendente, con aspirazioni autoriali – si vorrebbe andare a collocare questa nuova produzione di Amazon.

Un dramma familiare in un mondo parallelo

Potremmo benissimo ascrivere Expats, per certi aspetti, al sottogenere del dramma familiare, tanto amato dalla televisione di qualità (Six Feet Under). La trama, infatti, gira attorno alla scomparsa del piccolo Gus, figlio di Margaret (Nicole Kidman) e Clarke (Brian Tee) Woo, agiata coppia americana trasferitasi ad Hong Kong per questioni lavorative, e sull’effetto che questa avrà sul loro rapporto e sugli altri due figli. Una sparizione che ha pesanti ripercussioni non solo sulla famiglia, ma anche su alcune delle persone che la circondano, come i vicini e amici Hilary (Sarayu Blue) e David (Jack Huston), il cui matrimonio sta per scoppiare. Una tragedia che pesa anche sulla coscienza di Mercy Cho (Ji-young Yoo), giovane ragazza coreano-americana arrivata nella metropoli cinese in cerca di se stessa, a cui era stato affidato il bambino proprio la fatidica sera della sua scomparsa.

Expats descrive, come accennavamo sopra, una sorta di realtà parallela. Un mondo chiuso in complessi residenziali di lusso senza identità, impermeabile al contesto culturale e sociale esterno (siamo a Hong Kong, ma potremmo trovarci in qualsiasi altra grande città del globo). Viene in mente la Tokyo della pellicola di Sofia Coppola Lost in Translation – L’amore tradotto, quasi totalmente composta da anonimi interni d’albergo. Un microcosmo popolato dall’elite straniera cosmopolita, che non si preoccupa, nemmeno dopo anni di residenza, di imparare la lingua e si accontenta di parlare in inglese con conoscenze del proprio circolo o con le domestiche filippine e malesi. Mogli sull’orlo di una crisi di nervi ridotte allo stato di casalinghe annoiate, dopo che hanno dovuto abbandonare il proprio lavoro in patria in favore delle più remunerative prospettive di carriera del marito all’estero. Donne spesso soppiantate, anche sul fronte materno, dalle affettuose tate, a cui i figli sono inevitabilmente molto legati; a loro non rimane che la pratica del jogging e affogare la propria insoddisfazione in qualche calice di vino.

Una messa in scena fredda

Si va a sommare a questo quadro desolante un dolore insopportabile, quello della sparizione di un figlio, per certi versi anche peggiore della morte. Un dubbio lancinante capace di sconquassare un rapporto, soprattutto se sono già presenti tensioni e risentimenti di questo tipo. Expats, purtroppo, mette in scena troppo spesso queste dinamiche in modo molto freddo, rendendo abbastanza difficile empatizzare con i suoi protagonisti. Probabilmente, anche la loro condizione agiata e il contesto estremamente borghese non aiutano a renderli particolarmente simpatici. La serie, infatti, ha i suoi momenti migliori quando si concentra su alcuni dei personaggi di contorno, come le domestiche durante la loro giornata libera (tavolini da picnic imbanditi sotto un ponte, al riparo dalla pioggia torrenziale, mentre si pranza spettegolando amabilmente dei propri padroni e dei loro problemi, o cantando canzoni di Katy Perry. Una delle immagini più memorabili di tutti gli episodi).

Si aggiunge un contesto storico-politico usato come mero sfondo, che influisce poco o niente sulle vicende narrate (la miniserie è ambientata nel 2014, durante le proteste di Hong Kong del cosiddetto Umbrella Movement). Una scelta che risulta in fin dei conti sterile, il cui apporto alla storia regala poco più di alcuni vecchi modelli di smartphone. Expats vorrebbe essere un profondo dramma intimista, ma fallisce proprio quando dovrebbe addentrarsi nel cuore della tragedia vissuta dai suoi personaggi e, di conseguenza, nel farci davvero coinvolgere dal loro dolore. Non aiuta nemmeno, di sicuro, la scelta del formato seriale, con episodi che sanno tanto di riempitivo; magari un lungometraggio sarebbe stato il modo più indicato per trasporre questa storia. Rimangono solo un’ambientazione ricca di potenziale, alcune buone interpretazioni e qualche guizzo di stile.

Guarda il trailer ufficiale di Expats

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Amazon punta su Nicole Kidman per ricalcare i suoi ultimi exploit televisivi targati HBO. Purtroppo questa miniserie, incentrata su alcuni espatriati ad Hong Kong, non riesce a farci immedesimare nel dramma vissuto dai suoi protagonisti, con cui è difficile empatizzare vista la freddezza. Rimane il fascino di un mondo parallelo fatto di interni anonimi di un complesso residenziale di lusso, impermeabile al contesto socio-culturale che lo circonda. Non aiuta il formato seriale, con lunghi episodi che sanno di riempitivo; forse un lungometraggio sarebbe stata la scelta più giusta per trasporre il romanzo di Janice Y. K. Lee.
Marco Scaletti
Marco Scaletti
Prima sono arrivati i fumetti e i videogiochi, dopo l'innamoramento totale per il cinema e le serie tv. Consumatore onnivoro dei generi più disparati, dai cinecomics alle disturbanti opere del sommo Cronenberg | Film del cuore: Alien | Il più grande regista: il succitato Cronenberg o Michael Mann | Attore preferito: Joaquin Phoenix | La citazione più bella: "I gufi non sono quello che sembrano" (I segreti di Twin Peaks)

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