Il catalogo Netflix è stato arricchito dall’aggiunta della serie tv Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer. Nata dall’unione tra Ryan Murphy e Ian Brennan, già sodali nelle produzioni di Glee e Scream Queens, la miniserie su Jeffrey Dahmer scorre attraverso 10 episodi che mostrano il serial killer che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta ha mietuto 17 vittime nello Stato del Wisconsin, negli Stati Uniti. Non si è trattato di soli omicidi: Dahmer, qui interpretato magistralmente da Evan Peters, ha perpetrato sul corpo di ogni vittima perversioni di ogni genere, dalla necrofilia allo squartamento, fino allo scioglimento di parti dei cadaveri e al cannibalismo.
La premessa della veridicità dei fatti con i quali ci si approccia a questa miniserie rende particolarmente complesso seguirne le vicende senza provare disgusto e orrore e senza, persino, interrompere la visione in alcuni punti. Insomma, la nuova miniserie di Ryan Murphy (che di recente, sempre per Netflix, ha realizzato prodotti come Hollywood, Ratched e Halston) non è per deboli di stomaco. L’atmosfera rappresentata conferisce alle sole immagini il potere di stimolare ogni dimensione sensoriale. Non si percepisce solo l’inquietudine, ma anche le mostruosità si replicano con i suoni e gli odori: le abitudini di Dahmer, infatti, lo portavano a tenere con sé i cadaveri per potersi accanire sui loro corpi lasciando che il fetore nauseabondo di carne putrida si diffondesse in tutti i luoghi in cui viveva, lezzo che sembra passare anche attraverso lo schermo.
Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è un true crime ben fatto. La narrazione procede in maniera lenta, un po’ per creare quella giusta suspense che dalla caccia conduce all’attacco e al consumo delle oscenità di Dahmer, un po’ dilungandosi oltre il necessario. Ciononostante viene dedicato il giusto spazio alle vittime, alle loro storie, ai loro sogni, pur romanzando i fatti in alcuni casi. Degno di nota il sesto episodio, straziante nella sua esposizione, strutturato in maniera esemplare e realizzato creando una narrazione stridente tra la delicatezza necessaria a introdurre il personaggio di Tony Hughes, ragazzo sordomuto che incontra Jeffrey, e la brutalità feroce con la quale diventa la dodicesima vittima.
Un prodotto notevole, ma forse non indispensabile
Il punto di vista su Jeffrey Dahmer non è mai empatico, non c’è mai alcun tentativo di simpatizzare con lui. Diversamente dalla lettura spesso fornita di altri noti criminali, in questo caso la sceneggiatura non lascia innescare nello spettatore alcun tipo di pietismo nei confronti del serial killer. Pur scavando nel suo passato, i suoi trascorsi d’infanzia e adolescenza non inducono a una diagnosi: Dahmer non è soltanto il prodotto di una situazione familiare travagliata, non è una vittima della vita, altrimenti ciò implicherebbe che ogni difficoltà vissuta da ogni essere umano altro non è che la possibilità di diventare degli spietati assassini.
La miniserie non assolve Jeffrey dai suoi peccati, ma approfondisce il solco che ha lasciato nella vita dei familiari delle vittime, nella vita dei suoi stessi genitori (interpretati da Richard Jenkins e Penelope Ann Miller), nella vita dei suoi vicini di casa, che a più riprese hanno sospettato di quel ragazzo biondo che viveva da solo in un piccolo appartamento dal quale provenivano suoni raccapriccianti e odori vomitevoli. Oltre alle 17 vite spezzate, il “Mostro di Milwaukee” ha prodotto ben più vittime collaterali per le quali tutta la vicenda rappresenta un capitolo doloroso e terrificante. Sono infatti molteplici le critiche ricevute da Netflix in merito alla realizzazione di questa miniserie, troppe le ferite riaperte, troppe le persone coinvolte che non hanno trovato rassegnazione e per le quali non era necessario rivangare questa storia riportando nuovamente alla luce un tremendo caso di cronaca al solo scopo di spettacolarizzarlo, come del resto già fatto in passato.
La figura di Jeffrey Dahmer, infatti, era stata già stata narrata negli universi cinematografici e televisivi (basti pensare a Dahmer – Il cannibale di Milwaukee con Jeremy Renner o a My Friend Dahmer con Ross Lynch), incrementando quella lista affollata di personaggi che si sono macchiati di crimini esecrabili ma che non smettono mai di essere raccontati. Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è sicuramente un prodotto televisivo notevole, ma era davvero così indispensabile? Forse, a volte, a discapito dell’intrattenimento, si potrebbe semplicemente provare a lasciar cadere certe storie nell’oblio, provando così a sopire le sofferenze di quanti le hanno vissute in prima persona.