martedì, Gennaio 21, 2025
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Compagni di viaggio, recensione della miniserie con Matt Bomer e Jonathan Bailey

La recensione di Compagni di viaggio, miniserie tratta dall'omonimo romanzo di Thomas Mallon con protagonisti Matt Bomer e Jonathan Bailey. Disponibile su Paramount+.

“Mi chiamo Harvey Milk e sono qui per reclutarvi tutti!”, cominciava così lo storico Hope Speech, pronunciato dal primo consigliere comunale apertamente gay della storia degli Stati Uniti. Compagni di viaggio, miniserie in 8 episodi disponibile su Paramount+, fa tappa anche qui, nella San Francisco degli anni ’70: Castro Street, centro nevralgico del nascente movimento gay, è luogo di partecipazione e rivendicazione politica, in un paese dove il concetto di uguaglianza era, specialmente nei confronti della comunità LGBTQI+, ancora un lontano miraggio.

L’ipocrisia strisciante che affligge come un morbo la contraddittoria società statunitense è al centro di questa splendida miniserie, adattamento del romanzo omonimo di Thomas Mallon e creata da Ron Nyswaner, noto (tra le altre cose) per aver sceneggiato un’opera straordinaria come Philadelphia, la prima nella storia del cinema a parlare apertamente di AIDS. Compagni di viaggio racconta la storia d’amore tra due uomini, Hawkings Fuller (Matt Bomer) e Tim Laughlin (Jonathan Bailey), e lo fa ripercorrendo in parallelo la storia degli Stati Uniti dagli anni Cinquanta in poi.

Si sta parlando, quindi, di un’opera dal respiro storico, sfruttato tuttavia non per impartire una pedissequa lezione al pubblico, ma per dare profondità e pregnanza simbolica alla struggente vicissitudine dei due protagonisti. Hawkings e Tim, il primo veterano di guerra e a servizio presso il Dipartimento di Stato, il secondo fervente cattolico e sostenitore della lotta anti-comunista, si incontrano nel 1952, ai tempi del mandato di Joseph McCarthy come Senatore del Partito Repubblicano.

Il desolante affresco di una società perbenista

Il maccartismo fu segnato da una vera e propria crociata contro gli omosessuali, trattati alla stregua dei pericolosi sovversivi rossi. Una repressione gestita su più fronti, dove emarginare, schiacciare e neutralizzare con freddo metodo e impassibile crudeltà “zecche” e “deviati sessuali” rappresentava l’unica priorità.

Compagni di viaggio descrive con dovizia di particolari questa pagina oscura nota come Lavender Scare e il clima di insostenibile paranoia da essa generato. Il richiamo all’omosessualità repressa dello stesso McCarthy e del suo consulente capo Roy Cohn fa il resto, restituendoci il desolante affresco di una società perbenista e alle prese con atti persecutori violenti, sempre nel segno di un’ipocrita e deplorevole ambiguità.

La miniserie, pur muovendosi all’interno di questa complessa cornice, non è interessata ad un resoconto storico e, come già accennato, se si serve della vicenda universale lo fa per dare maggiore enfasi a quella particolare dei protagonisti. Per certi versi, questa potrebbe essere considerata una debolezza di Compagni di viaggio, che talvolta (specialmente per quanto riguarda le epoche descritte successivamente, ovvero il periodo della guerra nel Vietnam e, in misura minore, l’esplosione dell’epidemia dell’HIV) rischia di cadere nel tranello della semplificazione.

Non può trattarsi di una scelta casuale o di un difetto di scrittura. L’opera sottolinea l’ovvio, che pure nel 2023 tanto ovvio in realtà non è: la battaglia combattuta nelle piazze e in Parlamento per ottenere il riconoscimento dei diritti si intreccia inevitabilmente con quella combattuta in privato, scandita da grandi atti di coraggio (e di codardia) tralasciati dai libri eppure determinanti nella vita del singolo individuo. La lotta per l’uguaglianza passa, in alcuni casi, anche da un cammino di accettazione di sé e dell’altro, e quindi dalla costruzione di rapporti interpersonali reali, sinceri, da vivere alla luce del sole, senza alcuna vergogna o titubanza.

“Tutti gli uomini sono stati creati eguali”

Un percorso che non può scaturire dalla mera “buona volontà”, specialmente se – come nel caso dei nostri protagonisti – ci si trova a vivere in una fase dominata da una terrificante caccia alle streghe. Un’ossessiva guerra al diverso o più banalmente a ciò che non si è in grado di comprendere, resa ancora più insensata se si pensa al paese in cui essa ha avuto (e continua ad avere) luogo: l’America, la cui Dichiarazione di Indipendenza recita che “tutti gli uomini sono stati creati eguali”.

Compagni di viaggio è una miniserie impegnata e, in quest’ottica, a spiccare molto più della sua (comunque ottima) controparte, è Jonathan Bailey, il cui personaggio rappresenta il vero e proprio fulcro del racconto. Tim, alle prese da un lato con la difficoltà di conciliare la propria fede cattolica con il suo orientamento sessuale e dall’altro con un amore travolgente e non propriamente corrisposto, evolve assieme ai fatti raccontati sullo schermo, per mezzo di una serie di traversìe che riflettono e “riassumono” quelle storicamente attraversate dall’intera comunità gay.

Questo non toglie che i nobili intenti di questa produzione rischino talvolta di scontrarsi con alcuni limiti intrinseci legati al racconto dell’amore tra i due personaggi principali. Matt Bomer e Bailey, che come già detto fanno un lavoro egregio nel delineare la relazione tormentata tra i due protagonisti, sembrano limitati dalla schematicità con cui i rispettivi ruoli si intrecciano: il primo, dominante sia fuori che dentro la camera da letto, è ossessionato dalla salvaguardia del suo status quo, il secondo, più idealista e romantico ma comunque consapevole delle regole che è costretto ad accettare, sogna di coronare il suo sogno d’amore.

Un eccesso di melò e di romanticismo patinato

La serie eccede un po’ troppo sul versante melò, scegliendo di fare leva anche sulle aspettative di un pubblico alla ricerca di romanticismo patinato e condito con qualche “trasgressiva” scena di sesso. L’attenzione dello spettatore non particolarmente sensibile a certe tematiche potrebbe essere catturata, oltre che dall’oggettiva bellezza dei due attori, dall’attesa del più classico rovesciamento delle dinamiche di potere all’interno della coppia, con una redenzione di Hawk e una presa di coscienza di Tim, il quale si meriterebbe una relazione più equilibrata e sana.

Il rischio è quello di fermarsi alla superficie, dimenticandosi di tutta l’impalcatura storica così abilmente costruita dagli sceneggiatori. Di contro, va comunque riconosciuto che il pretesto sentimentale potrà indurre alcuni a riflettere su argomenti che altrimenti avrebbero accantonato o ignorato. Da questo punto di vista, appare comunque più centrata la linea narrativa secondaria affidata alla coppia composta da Marcus Hooks (Jelani Alladin) e Frankie Hines (Noah J. Ricketts), vittime non soltanto del pregiudizio omofobo ma anche di quello razziale.

Nel descrivere la genesi e l’evoluzione della loro storia, il racconto si fa più essenziale (sebbene non meno emozionante) veicolando così una riflessione efficace sull’inevitabile sovrapposizione di tribolazioni private e avvenimenti pubblici, con la conseguente spinta ad impegnarsi sul versante dell’attivismo politico.

Compagni di viaggio resta comunque ancorata ai suoi personaggi, e sta qui la sua forza: la vicenda di Hawk e di Tim, così come quella di Marcus e di Frankie, sono necessarie, specie in questo preciso momento storico, dove i numerosi passi avanti compiuti sul fronte dei diritti continuano a scontrarsi, ancora e ancora, con bigottismo e moralismo.

Ron Nyswaner sembra consapevole della necessità di “normalizzare” qualcosa – ovvero un rapporto, anche erotico, tra due uomini – che a questo punto non dovrebbe aver bisogno di essere normalizzato. Un aspetto, quest’ultimo, che tra le righe viene sottolineato come una sorta di mònito, dal momento che la Storia – specialmente quella legata a discriminazione ed emarginazione – tende quasi sempre a ripetersi.

Una presa di coscienza collettiva

Compagni di viaggio allude al presente e alle contraddizioni che da sempre attraversano una nazione sfaccettata come gli Stati Uniti, dove esaltazione della libertà individuale e negazione di tutto ciò che devia da una presunta normalità continuano ancora oggi a convivere. Tuttavia, dobbiamo essere coscienti che nessun paese, a nessuna latitudine, è immune dal rischio di ripercorrere chine altrettanto allarmanti e pericolose.

Scrivere di una miniserie come questa non è semplice, poiché tanto nella critica quanto nell’elogio il rischio è quello di parlare a nome di una comunità a cui non si appartiene. Questa constatazione non può e non deve in alcun modo esonerarci dagli obblighi che abbiamo in primis come esseri umani e poi in quanto membri attivi della società.

Compagni di viaggio ci insegna che voltarsi dall’altra parte come se tutto questo non ci riguardasse non aiuterà in alcun modo a combattere stigmi ormai cronici e quindi così difficili da sradicare. Non solo protesta e attivismo, ma anche senso di giustizia ed empatia diventano allora l’unico mezzo possibile per giungere ad una presa di coscienza collettiva e quindi, sperabilmente, ad un’assunzione di responsabilità generale, di tutti noi, nessuno escluso.

Guarda il trailer ufficiale di Compagni di viaggio 

GIUDIZIO COMPLESSIVO

Compagni di viaggio è un’opera dal respiro storico, sfruttato tuttavia non per impartire una pedissequa lezione al pubblico, ma per dare profondità e pregnanza simbolica alla struggente vicissitudine dei protagonisti. La vicenda di questi indimenticabili personaggi è necessaria, specie nel momento storico attuale, dove i numerosi passi avanti compiuti sul fronte dei diritti continuano a scontrarsi, ancora e ancora, con bigottismo e moralismo.
Annalivia Arrighi
Annalivia Arrighi
Appassionata di cinema americano e rock ‘n’ roll | Film del cuore: Mystic River | Il più grande regista: Martin Scorsese | Attore preferito: due, Colin Farrell e Sean Penn | La citazione più bella: “Questo non è volare! questo è cadere con stile!” (Toy Story)

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