Guillermo del Toro è uno degli autori più immaginifici degli ultimi vent’anni, e più, di cinema di genere. Un regista che, tra orrore e fantastico, ha saputo regalarci storie indubbiamente affascinanti, sempre accompagnate da un gusto estetico sorprendente e fortemente personale, soprattutto per quanto riguarda il creature design (le inquietanti creature che popolano il mondo fiabesco de Il labirinto del fauno, l’essere anfibio de La forma dell’acqua – The Shape of Water) e i set, sempre estremamente curati (il Mercato dei Troll di Hellboy: The Golden Army, la fatiscente dimora gotica di Crimson Peak). Tutti elementi che ritroviamo in Cabinet of Curiosities, serie horror antologica creata da Del Toro per Netflix, i cui otto episodi sono usciti in coppia sulla piattaforma dal 25 al 28 ottobre.
Il titolo della serie prende ispirazione dai wunderkammer, “gabinetti delle curiosità”, ambienti in cui, tra il XVI e il XVIII secolo, i pochi fortunati con la possibilità di viaggiare conservavano gli oggetti più interessanti ed esotici che trovavano in giro per il modo. Questi oggetti potevano essere di varia natura: libri e dipinti, ma anche campioni di storia naturale e innaturale (denti di drago, corna di unicorno, ecc.), dietro cui si nascondevano, spesso, bizzarre vicende. Partendo da questo presupposto, Cabinet of Curiosities lascia campo libero ai diversi registi – tra i più interessanti nel panorama horror degli ultimi anni (Vincenzo Natali di Cube – Il cubo, David Prior di The Empty Man, Ana Lily Amirpour di A Girl Walks Home Alone at Night, ecc.) – di sviluppare le più disparate storie del terrore, dai toni molto diversi, le cui tematiche vengono illustrate, a inizio puntata, dallo stesso Guillermo del Toro (un ruolo da cicerone del brivido simile a quello di Alfred Hitchcock nella serie Alfred Hitchcock presenta).
Si parte con l’accoppiata Lotto 36, del fido direttore della fotografia Guillermo Navarro (recentemente, come regista, ha diretto anche alcuni episodi de Gli ultimi giorni di Tolomeo Grey), e I ratti del cimitero di Vincenzo Natali. Episodi accomunati dalla sgradevolezza dei loro due protagonisti: un veterano di guerra razzista (Tim Blake Nelson), che maltratta una povera signora di origini latinoamericane (Elpidia Carrillo), e un avido tombarolo (David Hewlett), che nella Salem del XIX secolo deruba i defunti dei beni seppelliti con loro, denti d’oro inclusi. Entrambi troveranno la giusta punizione di natura sovrannaturale, un po’ come nei racconti horror morali di “Tales from the Crypt”, serie a fumetti della EC Comics (quelli che hanno ispirato anche il film antologico Creepshow, di Stephen King e George A. Romero).
Ne L’autopsia, diretto da David Prior e scritto da David S. Goyer (The Sandman), si passa alla fantascienza, in una storia a metà strada tra Autopsy di André Øvredal e il classico L’invasione degli ultracorpi, con un pizzico di body horror: un medico legale (interpretato dal grandissimo F. Murray Abraham) troverà dentro il cadavere di un uomo, morto in circostanze bizzarre, più di quello che si aspetta. L’apparenza, di Ana Lily Anipour, cambia totalmente registro vertendo sul grottesco, in un’orgia di colori saturi. La bruttina e stramba Stacey (Kate Micucci) – appassionata di tassidermia come Norman Bates – non riesce ad accettarsi e diventa ossessionata da una lozione di bellezza che promette miracoli contro gli inestetismi. Dall’estetica al limite del metaforico (la storia è ambientata nel presente, ma vestiti ed elementi di arredamento richiamano gli anni ’70-’80), la puntata si potrebbe leggere come un’analisi sul cambio dei canoni di bellezza che c’è stato tra il cinema degli anni ’70, dove spopolavano bellezze insolite come Diane Keaton e Shelley Duvall, e quello dei superficiali anni ’80, con l’avvento delle bombe sexy.

Un buffet dell’orrore dal menù variegato
Il modello di Pickman, diretto da Keith Thomas (il recente adattamento di Firestarter), e I sogni nella casa stregata di Catherine Hardwicke (Miss Bala – Sola contro tutti), sono entrambi tratti da classici racconti di H. P. Lovecraft (autore molto caro a Del Toro, di cui ancora speriamo di vedere, prima o poi, l’agognato adattamento de “Alle montagne della follia”), ma molto diversi tra loro. Il primo è molto fedele ai toni e alle tematiche dell’autore: l’ossessione dello studente di pittura Thurber (Ben Barnes) per le insolite opere del nuovo arrivato Richard Pickman (Crispin Glover) lo porterà alla conoscenza di cose angoscianti che si nascondono nell’ombra; una consapevolezza che lo trascinerà nell’incubo e nella follia. Il poeta, l’artista e il folle sono tramiti per il mondo invisibile dell’orrore, una tematica ben resa in uno dei migliori adattamenti lovecraftiani visti su schermo, accanto ai lavori del regista Stuart Gordon (Re-Animator, From Beyond – Terrore dall’ignoto). I sogni nella casa stregata – già adattato, dal succitato Stuart Gordon, in uno degli episodi dell’antologia Masters of Horror – devia dai toni tipicamente lovecraftiani verso lidi più fiabeschi. L’episodio – con protagonista Rupert Grint (il Ron Weasley della saga di Harry Potter) nel ruolo di un determinato spiritista, deciso a ricongiungersi con la defunta gemella (Daphne Hoskins) – regala una delle creature più iconiche di Cabinet of Curiosities: una strega formata da rami e corteccia.
Dopo il delirante Mandy con Nicolas Cage, Panos Cosmatos (figlio del mitico George Pan Cosmatos di Rambo 2 – La vendetta e Cobra) confeziona, con La visita, l’episodio più stiloso della serie (colori caldi sparati, effetto vecchia pellicola, musica synth che sembrerebbe essere uscita da un film di John Carpenter). Un incipit simile a “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, dove prevale un tono misterioso ma conviviale, si trasforma lentamente in un trip psichedelico dell’orrore: quattro sconosciuti eccezionali (uno scrittore di bestseller, un produttore musicale di successo, un’astrofisica, uno studioso di fenomeni ESP), invitati da un eccentrico miliardario (Peter Weller) nella sua insolita tenuta, dovranno presto vedersela con una minaccia inaspettata (con reminiscenze sia de La cosa di Carpenter, che di Scanners di David Cronenberg). Ne Il brusio, ottavo e ultimo episodio, la regista Jennifer Kent ritrova Essie Davis, la bravissima protagonista del suo Babadook. Davis e Andrew Lincoln (il Rick Grimes di The Walking Dead) sono una coppia in crisi a causa della tragica perdita della figlioletta. I due, entrambi ornitologi, per la loro ricerca sui piovanelli, si recano su un’isola; qui si ritrovano a soggiornare in una casa da tempo disabitata, in passato luogo di una misteriosa tragedia. Affrontare le spettrali presenze dell’abitazione aiuterà lei nell’elaborazione del doloroso lutto. Un episodio dai toni prettamente drammatici, dove l’elemento sovrannaturale è una manifestazione del dolore che ci portiamo dentro.
Cabinet of Curiosities è un buffet dell’orrore che riesce ad offrire un menù molto variegato, dove è presente qualcosa di gustoso ed interessante per tutti i palati. Un’antologia perlopiù riuscita, con pochi episodi deboli (i primi due sono i più scontati) e diversi picchi di eccellenza (L’autopsia, Il modello di Pickman, La visita, Il brusio). Dei mini-film in cui traspare, nella maggior parte dei casi, la personalità del proprio regista, ma anche il marchio di fabbrica della produzione di Guillermo del Toro, soprattutto attraverso l’estetica dei memorabili mostri e di alcune ambientazioni (il tempio lovecraftiano sotterraneo del secondo episodio, la Foresta delle anime perdute del sesto).