Sulla scia della più recente Elite e dell’ormai amatissima Tredici, dallo scorso 30 novembre è finalmente disponibile su Netflix Baby (qui il resoconto della conferenza stampa), la nuova serie italiana lanciata dal colosso dello streaming dopo i consensi raccolti da Suburra – La serie.
Ideata e sceneggiata dai GRAMS, un collettivo di giovani autori di età compresa tra i 20 e i 29 anni, la serie è diretta da Andrea De Sica ed Anna Negri, e fin dal suo annuncio è riuscita a catalizzare l’attenzione voyeuristica di pubblico e critica per via del caso di cronaca dal quale prende spunto: quello delle baby squillo di Roma.
Ambientata nel quartiere Parioli, Baby segue le vicende di Chiara (Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani), due adolescenti che frequentano il liceo privato Collodi. Dietro una vita apparentemente perfetta si nascondono in realtà paure, insicurezze e pressioni che le due ragazze non sembrano più in grado di reggere e tollerare. Dopo aver conosciuto alcune persone sbagliate, accarezzano l’idea di entrare nel giro della prostituzione, iniziando così a condurre una vita segreta.
Baby disponibile su Netflix dal 30 novembre
Divisa in 6 episodi, la prima stagione di Baby (o forse sarebbe più corretto parlare di “prima parte” della prima stagione, ma questo lo scopriremo soltanto col tempo!) si presenta come un racconto di formazione a tutti gli effetti, in parte abbastanza scontato e banale, ma non per questo privo di mordente o incapace di catturare l’attenzione dello spettatore.
Tra pressioni familiari e sociali, amori proibiti ed altri condivisi, e segreti inconfessabili, la serie prodotta da Fabula Pictures si rivela ad ogni singolo episodio sempre più appasionata e appassionante, nonostante l’impostazione del racconto sia estremamente classica e gli snodi narrativi assolutamente prevedibili.
Ciò che colpisce di Baby è la sua capacità di rappresentare in maniera onesta un mondo che non viene spacciato per quello che non è, al contrario: siamo di fronte ad un prodotto ideato da giovani e destinato essenzialmente ad un pubblico giovane, che racconta di uno spaccato della nostra società in maniera piuttosto realistica, in cui i personaggi ci vengono presentati senza alcun tipo di filtro.
Il collettivo GRAMS definisce fin da subito il disagio che ci cela dietro le vite di questi adolescenti allo sbaraglio, e lo fa delineando l’antico e inflazionato conflitto generazionale tra genitori e figli, rivelando così la vera natura dello show: Baby è una serie che parla di mancanza d’amore.
I protagonisti non riescono a trovare amore tra le mura domenistiche, in quelle figure genitoriali che hanno smesso ormai di fungere da modelli perché completamente piegate al volere della loro umanità e fragilità; lo ricercano perciò altrove, nei luoghi e nelle persone sbagliate, coetani o adulti che siano, vincolati o meno dal denaro, capace di mettere le giuste distanze e di chiarire ogni posizione.
La serie non giudica in maniera alcuna le scelte dei suoi personaggi, limitandosi a seguirli nella loro discesa oscura e sempre più pericolosa verso un mondo arido e cinico (forse anche troppo!) in cui sembra non esserci più posto per i sentimenti autentici, quelli veri. I personaggi si muovono verso il loro destino e al tempo stesso lo spettatore viene involontariamente rapito dall’incertezza che caratterizza il loro futuro, desideroso di sapere a quale conseguenza disastrosa porterà l’ennesima scelta sbagliata.
Il contrasto tra le due facce della stessa medaglia (la Roma bene e la Roma popolare, il pariolino e il coatto, la vita vera e la vita virtuale, l’innocenza e il peccato) emerge in Baby con ingenuità ma anche con adeguatezza, sicuramente mai con prepotenza, grazie anche ad una messa in scena suggestiva (fatta di luci e ombre, di sequenze dal forte dall’impatto visivo), ad una colonna sonora accattivante e all’interpretazione del giovanissimo cast (su cui emerge per freschezza e disinvoltura Benedetta Porcaroli).