Gabriele Muccino è un regista che ha dimostrato, film dopo film, di avere una voce specifica nel panorama del cinema italiano contemporaneo, complice la capacità di incarnare le idiosincrasie, le nevrosi, i paradossi e le laconiche malinconie della borghesia, raccontandola fino a scavare nel cuore più oscuro dei suoi segreti. E A casa tutti bene – La serie ne è una dimostrazione, grazie alla capacità di trasporre sul piccolo schermo molte delle tematiche care alla poetica dell’occhio meccanico del regista romano.
Questa seconda stagione, pronta ad approdare in esclusiva su Sky e in streaming su NOW dal 5 maggio – per un totale di otto episodi – non solo riprende esattamente i fili narrativi dipanati già nel corso del precedente ciclo, ma alza la posta in gioco emotiva delle storie dei singoli personaggi, che si confermano ancora una volta come volti fondamentali per tessere un arazzo variegato di situazioni, eventi e caratteri. In questa seconda stagione, mentre Carlo (Francesco Scianna) concilia la vita familiare con i progetti imprenditoriali, Paolo (Simone Liberati) continua la battaglia legale contro Olivia, Sara (Silvia D’Amico) riscopre l’amore e la matriarca Alba (Laura Morante), ora senza segreti, si ricostruisce una vita.
Eppure, ancora una volta, a scompigliare le carte arriva il passato, che spinge i tre fratelli – insieme ai loro rispettivi compagni e al resto della famiglia, composta dai Mariani – ad affrontare prove inaspettate, ognuno guidato dal proprio desiderio. Nuovi amori e tormenti infiammano le loro vite e, per quanto possa sembrare ingiusto, le colpe dei genitori finiranno per ricadere sempre sui figli. Così i protagonisti vanno incontro a un destino ineluttabile, dimostrando ancora una volta come la felicità sia un’illusione impossibile da afferrare, soprattutto per i Ristuccia.
La seconda stagione di A casa tutti bene è consapevole del proprio compito, ovvero mantenere alta l’attenzione di spettatori sempre più configurati come voyeur nascosti, occhi pronti a scrutare nel buio dei loro piccoli schermi le incalzanti vicende che si susseguono e che vedono protagonisti i Ristuccia: ancora una volta, è la famiglia composta dai fratelli Carlo, Sara e Paolo (e dalla matriarca Alba) a tenere le redini di un’intricata trama popolata di volti, cause e conseguenze che mostrano i loro effetti attraverso il tempo, influenzando il presente con la consapevolezza di un ingombrante passato che continua ad aleggiare. Come la prima, anche questa seconda stagione pone, al centro della narrazione, le colpe dei padri e il peso di scelte e aspettative, spesso castranti, capaci di condizionare i comportamenti dei singoli protagonisti.
Quando il family drama incontra il crime
I tre fratelli – ma anche i loro parenti più stretti, i Mariani – non sono immortalati nel pieno della loro maturità, avviati lungo la strada del successo e della realizzazione personale: di nuovo sono rappresentati in fieri, incastrati in una struggente lotta per l’emancipazione, consapevoli però dell’impossibilità di liberarsi completamente della propria famiglia. E quest’ultima, che può rappresentare tanto il nido accogliente e rassicurante, può anche trasfigurarsi in una polveriera nella quale i segreti possono logorare i rapporti personali fino a corromperli in modo irreversibile.
Gabriele Muccino orchestra dinamiche archetipiche (celebrate tanto dall’alta letteratura quanto dal teatro più colto, da Shakespeare passando per Čechov e gli americani Miller e Tracy Letts), creando una continuità con la propria produzione cinematografica, senza mai interrompere il fil rouge di un dialogo continuo tra le proprie creature: ecco perché A casa tutti bene è, a tutti gli effetti, la summa compendiaria definitiva del cinema del regista, ricca di tematiche comuni alla propria poetica, creando una complessa e sfaccettata narrazione collettiva di fatti (e vizi) privati di personaggi già incrociati nei suoi film precedenti, da L’ultimo bacio fino al suo sequel, passando per Ricordati di me e lo stesso A casa tutti bene, matrice originale che ha ispirato proprio la serie.
E un altro degli aspetti interessanti del prodotto seriale risiede proprio nella capacità di adattare un universo narrativo ben consolidato e specifico da un medium all’altro, passando da un linguaggio strettamente cinematografico a quello più “televisivo” (o, comunque, del piccolo schermo), sancendo il regno della serialità come quello adatto per ospitare una coralità di voci, personaggi, eventi e situazioni perfettamente capaci di sfruttare i vantaggi di uno spazio-tempo frammentato per ampliare il proprio universo creativo.
Ma c’è anche un altro elemento che rende questa seconda stagione un prodotto più a fuoco rispetto alla prima, in grado di aggiungere un tocco personale ad una narrazione più consolidata e tradizionale, confermando uno stile e una visione specifica nella sua integrità (soprattutto estetica e drammaturgica): l’ibridazione tra i generi, una ricerca che Muccino aveva già intrapreso in precedenza ma che questa volta si consolida come una felice intuizione, tingendo le vicende dei Ristuccia di un nero abissale, ambiguo e oscuro, creando una profonda crepa che contamina il family drama con il crime, rispondendo alle esigenze di un pubblico generalista sempre più attento e avido di prodotti seriali competitivi e mainstream.