L’acclamato regista e sceneggiatore americano Brady Corbet torna alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica dopo l’ottima accoglienza riservata a L’Infanzia di un Capo, il suo esordio dietro la macchina presa presentato nella sezione Orizzonti dell’edizione 2015.
Questa volta Corbet si confronta direttamente con il concorso di Venezia 75 grazie a Vox Lux, sua seconda regia con una protagonista d’eccezione, il premio Oscar Natalie Portman, nei panni inediti di una popstar glam di nome Celeste. Il film ripercorre la storia della fulminea carriera della cantante, fortemente influenzata da un’immensa tragedia nazionale.
Vox Lux è il film che non ti aspetti. Lontano anni luce dall’essere una mera e convenzionale biografia musicale, la seconda avventura cinematografica di Brady Corbet è in realtà un potentissimo dramma (forse non pienamente riuscito) che si serve dell’elemento musicale per parlare senza troppi filtri della sconcertante società in cui viviamo.
Scandagliando un arco temporale di diciotto anni (dal 1999 al 2017), Corbet racconta la storia di una ragazza e del suo sogno di diventare una popstar di fama internazionale, ed esamina attraverso il suo sguardo, le sue ambizioni e le sue scelte tutta una serie di importanti avvenimenti culturali che hanno segnato nel profondo la storia del XXI secolo.
La recensione di Vox Lux, il nuovo film di Brady Corbet presentato in concorso a Venezia 75
La voce narrante di Willem Dafoe e le musiche solenni composte esclusivamente per il film da Sia ci accompagnano per mano in una vita che diventa attraverso la regia accellerata e nervosa di Corbet (autore anche della sceneggiatura) e la fotografia desaturata e grezza di Lol Crawley l’emblema spaventoso dell’eccesso e dell’illusione, specchio dell’attuale mondo dello spettacolo e – più in generale – della realtà sempre più asettica e meschina in cui viviamo.
Idealmente diviso in quattro parti (un prologo e tre capitoli), Vox Lux sviscera la propria inquietudine nella fredda e spietata correlazione fra cronaca nera e cultura pop. Un’opera ambiziosa e ambigua che mira a sottolineare come il nostro secolo sia un’epoca funesta che ha dovuto piegarsi all’angoscia e all’orrore, e rinascere nel vacuo, nel disimpegno, nella valorizzazione della bruttezza, tutti sentimenti incarnati nel film dalla figura di Celeste (una Natalie Portman forse un po’ sopra le righe) e inevitabilmente legati alla figura “demoniaca” dell’artista pop nell’immaginario collettivo.
La parabola dura e angosciante di Corbet forse non riesce a mantenersi armonica e coerente dall’inizio alla fine (la prima parte del film è di sicuro più riuscita della seconda), ma è innegabile che il discorso portato avanti dal regista sia quantomeno interessante, controcorrente rispetto ai canonici film sul mondo della musica, di un impatto contemporaneo a dir poco spiazzante.
La fama e il successo sono le nuove credenze del XXI secolo: la storia di Celeste ci insegna che la nostra società non è più in grado di soccombere alla tragedia; l’unica soluzione – per nulla lusinghiera e consolatoria – sembra essere rimasta quella di vendere “l’anima al Diavolo”.