A circa due settimane di distanza dall’uscita nelle sale americane, è pronto a debuttare anche da noi l’attesissimo Venom: La furia di Carnage, sequel del cinecomic del 2018 che ha ufficialmente introdotto il celebre simbionte dei fumetti Marvel sul grande schermo.
Nonostante il primo episodio fosse stato massacrato da buona parte della critica, un sequel di Venom era inevitabile considerata l’ottima accoglienza da parte del pubblico, che alla fine della corsa del film in sala ha generato un incasso al botteghino davvero notevole. Sfortunatamente, questo sequel sembra incappare a grandi linee negli stessi errori che avevano decretato il fallimento del suo predecessore.
Scritto da Kelly Marcel (coinvolta anche nella sceneggiatura del primo capitolo), Venom: La furia di Carnage poggia su una struttura narrativa davvero esile in cui si mescolano una miriade di dinamiche che, alla fine, si risolvono in maniera talmente frettolosa da lasciare attonito lo spettatore. La sceneggiatura è priva di qualsivoglia approfondimento introspettivo e le molteplici linee narrative rendono, di fatto, questo sequel eccessivamente caotico, in cui i conflitti tra le varie “coppie” vengono tristemente semplificati.
E a proposito di coppie, Andy Serkis, che sostituisce Ruben Fleischer (regista del primo Venom), firmando così la sua terza regia (dopo Ogni tuo respiro del 2017 e Mowgli – Il figlio della giungla del 2018), aveva più volte anticipato che il sequel sarebbe stato una vera e propria storia d’amore anticonvenzionale, ed infatti Venom e il suo ospite attraversano tutte le fasi tipiche di una relazione amorosa: litigano, si amano, si odiano, si lasciano e, alla fine, si ritrovano… su una spiaggia, al sole cocente, con la sabbia tra le dite, a discutere del loro futuro.
Ancora una volta, però, il rapporto di amore-odio tra Eddie Brock e Venom, la cui distanza dalla controparte fumettistica diventa ancora più marcata, si basa su un elevato numero di gag che contribuiscono a rendere il prodotto finale fin troppo leggero, palesando nuovamente quell’insensata voglia di non volersi prendere mai troppo sul serio, quando il mondo dei simbionti meriterebbe, forse, un approccio decisamente più dark e maturo.
Volendoci concentrare sul lavoro di Serkis dietro la macchina da presa, l’attore e regista britannico si affida ad una artigianalità priva di qualsiasi guizzo, deludendo soprattutto per l’incapacità di restituire sequenze visivamente accattivanti e donando all’operazione, nel complesso, una dose di spettacolarità appena sufficiente. I simbionti, ad esempio, sono catapultati al centro di sequenze che non riescono a valorizzare al meglio il loro design, sul quale è stato comunque fatto un lavoro assai pregevole. Di conseguenza, la violenza che vediamo trasposta finisce relegata negli anfratti edulcorati del PG-13, restando pertanto solo di facciata.
Tuttavia, ciò che dispiace maggiormente di questo sequel è probabilmente la superficialità con cui vengono trattate le due new entry, ossia Cletus Kasady/Carnage e Frances Barrison/Shriek, due villain dal passato tormentato estremamente affascinanti, la cui relazione avrebbe potuto dare vita a risvolti narrativi potenzialmente esplosivi, ma le cui motivazioni vengono soltanto abbozzate. Neanche l’impeccabile talento di Woody Harrelson e Naomie Harris riesce a risollevare una scrittura assai svogliata, incapace di valorizzare i suoi antagonisti e di donare loro la giusta profondità.
Venom: La furia di Carnage viaggia col pilota automatico, in balia di un ritmo talmente forsennato da rendere la visione un autentico giro sulle montagne russe, in cui alla fine si rimane spiazzati dalla brevità del viaggio, senza però avere la voglia di pagare per una nuova corsa. Un sequel che doveva provare a fare ammenda di tutto ciò che nel precedente capitolo non aveva funzionato, ma che alla fine si limiterà soltanto a replicarne, con buona probabilità, le straordinarie performance al botteghino.
La speranza è che la scena post-credits (l’elemento più entusiasmante dell’intero film, il che è tutto dire!) possa davvero sancire un nuovo inizio per la storia del Protettore Letale sul grande schermo, un cambio di rotta definitivo, una sorta di svecchiamento d’immagine, dal momento che anche questo sequel – esattamente come il primo Venom – sembra, di fatto, un film di supereroi vecchio stampo, figlio della prima era dei cinecomics, quando gli universi condivisi erano qualcosa di neanche lontanamente auspicabile.