Non c’è alcun dubbio che Eddie Murphy fosse una delle star di maggiore successo del mondo dello spettacolo durante gli anni ’80. Ma la luce della sua stella, a partire dalla fine della decade reaganiana, si è man mano andata sempre più ad affievolire, arrivando ai minimi storici con l’avvento del nuovo millennio (il rovinoso tonfo al botteghino della commedia di fantascienza Pluto Nash). Una carriera iniziata con la partecipazione a ben quattro stagioni del Saturday Night Live (il mitico comedy show aveva già lanciato nomi del calibro di John Belushi, Dan Aykroyd e Bill Murray), in seguito confluita nel mondo del cinema. A giocare un ruolo cruciale nel successo di Murphy sul grande schermo è stato sicuramente 48 ore, prototipo del moderno buddy cop diretto dal grandissimo Walter Hill. Un mix di azione e commedia che diventerà la formula vincente di molte delle produzioni con protagonista il comico afroamericano.
Proprio a questo sottogenere del poliziesco appartiene anche Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills, pellicola di maggiore incasso del 1984, dove Murphy è assurto definitivamente al ruolo di protagonista indiscusso (nei due precedenti 48 ore e Una poltrona per due condivideva lo schermo a pari merito con altri due lead, Nick Nolte e il succitato Aykroyd). Il poliziotto street smart di Detroit Axel Foley, pronto a sconvolgere la quiete della opulenta città californiana del titolo, è diventato uno dei personaggi più apprezzati dell’attore, tanto da generare due seguiti, purtroppo entrambi inferiori all’originale. In pieno revival nostalgico, dopo le milioni di visualizzazioni de Il principe cerca figlio su Prime Video, era solo questione di tempo prima che Eddie Murphy tornasse a visitare uno dei suoi ruoli più riconoscibili. A offrire lo spazio per una nuova rimpatriata sotto il sole della California è, questa volta, Netflix: il terzo sequel, Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F, sarà infatti disponibile sulla piattaforma di streaming a partire dal 3 luglio.
Un sequel fuori tempo massimo
Torna lo storico produttore Jerry Bruckheimer (non solo dietro ai primi due capitoli della serie, insieme al compianto partner in crime Don Simpson, ma anche ad altri cult degli anni ’80 come Flashdance e Top Gun) con un nuovo team di sceneggiatori (Will Beall, Tom Gormican e Kevin Etten) e il regista Mark Molloy, con esperienza in ambito pubblicitario. Axel (naturalmente sempre Murphy) è di qualche anno più vecchio, ma non per questo ha perso la voglia di gettarsi a capofitto nelle situazioni più rocambolesche. Dopo una telefonata inaspettata da parte del vecchio amico Billy Rosewood (Judge Reinhold), il poliziotto di Detroit vola ancora una volta a Beverly Hills, questa volta per aiutare la figlia Jane (Taylour Paige), giovane avvocatessa. Nel tentativo di dimostrare l’innocenza di uno dei suoi clienti, la testarda ragazza – evidentemente una dote di famiglia – si ritrova infatti coinvolta in un pericoloso caso di corruzione. Toccherà al padre salvarla, magari riuscendo finalmente anche a risanare il loro rapporto, da tempo deteriorato.
Mettiamo subito le cose in chiaro, senza girarci troppo intorno: Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F si presenta come l’ennesimo caso di riesumazione di un franchise fuori tempo massimo. Un tipo di operazione a cui Hollywood ormai ci ha abituato da tempo (Indiana Jones e il Quadrante del Destino) e che raramente ha portato a risultati un minimo interessanti (tra le poche eccezioni meritevoli, i due capitoli più recenti della saga di Mad Max, Fury Road e Furiosa). Poi se parliamo di Beverly Hills Cop, ci troviamo di fronte a una serie che aveva già esaurito tutto quello che aveva da dire con la pellicola originale. Un film che trovava la sua forza nell’ottimo bilanciamento tra intrigo poliziesco e momenti ironici, con al centro l’incontro-scontro tra due mondi agli antipodi: la realtà proletaria dello scapestrato poliziotto di Detroit, afroamericano e con un passato da piccolo criminale, e quella fighetta dei rigidi, e un po’ tonti, agenti californiani.
More of the Same
Tutti elementi che risultavano, per un verso o per l’altro, già annacquati o mal gestiti nei due precedenti seguiti, pur cercando di non snaturare troppo la formula di base. Se il secondo capitolo poteva contare sul glamour visivo portato dalla regia di Tony Scott, soffriva però di una trama crime contorta e poco appassionante; mentre il terzo, dopo un prologo duro ed efficace, faceva presto a trasformarsi in uno stupido giocattolone, abbandonando anche in toto l’elemento buddy cop. Come tutti i recenti sequel o requel, mutuando un termine coniato nel recente Scream, Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F segue quasi pedissequamente i soliti beat del film originale (l’inizio con un improbabile e disastroso inseguimento tra le strade di Detroit, il classico montaggio per introdurci allo sfarzo di Beverly Hills). Un more of the same riproposto con una confezione professionale, ma anche terribilmente anonima (la fotografia Eduard Grau è indistinguibile da quella di qualsiasi altro poliziesco o thriller contemporaneo da piattaforma).
Almeno Un piedipiatti a Beverly Hills: Axel F ha la decenza di lasciare in panchina i comprimari più agé (dopo il suo ruolo nell’incipit della vicenda, Billy sparirà per quasi tutto il film, mentre il Taggart di John Ashton è relegato a un ruolo d’ufficio) lasciando spazio alle nuove leve, per poi avere una piccola parte nella sparatoria finale. Purtroppo, se la dinamica con Jane funziona abbastanza, pur non essendo il massimo dell’originalità (ricorda da vicino quella tra John McClane e figlia in Die Hard – Vivere o morire), lo stesso non si può dire di quella con il giovane detective Abbott (Joseph Gordon-Levitt); un personaggio sbiadito, mero supplente pronto a sostituire la ragazza quando questa viene rapita. Kevin Bacon si conferma il nuovo Dennis Hopper, ovvero un attore ormai relegato a ruoli da classico cattivo-macchietta da produzione hollywoodiana media. Il risultato finale è un film largamente trascurabile, solo per i completisti più accaniti di Eddie Murphy.