La maggior parte degli attori raggiunge la fama grazie a un ruolo che sembra scritto “su misura” per loro. Alcuni di questi interpreti, inoltre, si legano così indissolubilmente a un loro personaggio da rimanerne quasi prigionieri, e per tutta la loro carriera non fanno altro che tentare di emanciparsi da quella maschera con cui vengono sovente identificati. È un po’ quello che sta accadendo, oggi, a Chris Hemsworth che, dopo la conclusione della saga degli Avengers, torna protagonista con l’action movie Tyler Rake, disponibile dal 24 aprile su Netflix.
Il prestante interprete del divino Thor abbandona quindi i panni del suo principale alter-ego cinematografico e cerca di costruirsi una carriera oltre i Vendicatori. Certo, il figlio di Odino tornerà il prossimo anno in Thor: Love and Thunder, ma è innegabile il fatto che Avengers: Endgame abbia rappresentato una cesura anche per la carriera dell’attore australiano.
In fondo, il film Tyler Rake, diretto dall’esordiente Sam Hargrave, sembra essere stato scritto appositamente per lui. Una sorta di “pellicola-rilancio” per l’attore, che comunque ha sempre dimostrato le sue doti oltre l’universo Marvel (basti pensare a Rush e Heart of of the Sea – Le origini di Moby Dick di Ron Howard, ma anche a Blackhat di Michael Mann). E, a questo proposito, non è certamente un caso che il film sia stato prodotto da Joe (anche sceneggiatore) ed Anthony Russo, già registi di ben quattro film dell’universo Marvel, tra cui anche gli ultimi Avengers: Infinity War e il già citato Averngers: Endgame.
Tyler Rake (Chris Hemsworth) è un mercenario che non è mai riuscito a superare la morte del figlio. Quando il giovane Ovi (Rudhraksh Jaiswal), primogenito di un magnate della droga indiana, viene rapito da un rivale del padre, Tyler è chiamato a partecipare a una missione di “estrazione” (da qui il titolo originale: Extraction) a Dacca, in India. Le cose naturalmente non vanno come previsto e quella che avrebbe dovuto essere una “missione di routine” si trasforma in una lotta contro il tempo per la sopravvivenza.
Tyler Rake è un film non dissimile rispetto a un altro action movie prodotto e distribuito da Netflix qualche tempo fa: Triple Frontier. Anche in quel caso i protagonisti non erano solo mercenari chiamati a svolgere la loro ultima missione, ma anche antieroi logorati dai rimpianti e dai sensi di colpa. L’unica differenza tra le due pellicole, è che se il film diretto da J.C. Chador poteva avvalersi di un cast ricco, composto tra gli altri da Ben Affleck, Pedro Pascal e Oscar Isaac, quello di Sam Hargrave si basa esclusivamente sulla presenza scenica (la cui efficacia è comunque indubbia) di Chris Hemsworth.
Certamente derivativo, oltre che pieno zeppo (forse fin troppo) di cliché tipici del genere, Tyler Rake è un film sicuramente non memorabile, ma che tutto sommato non deluderà né gli amanti del genere action (alla fine comunque ci si diverte), né quelli di Chris Hemsworth (costantemente in scena). Da un punto di vista estetico, il film si affida a uno stile che potremmo definire “immersivo”, che riesce a trascinare lo spettatore nel vortice irrefrenabile degli accadimenti attraverso una messa in scena che privilegia non di rado l’uso della cinepresa a mano, per dare sempre la sensazione di essere al centro dell’azione. Aspetto, quest’ultimo, ben testimoniato dallo (a suo modo) straordinario (finto) piano sequenza in cui il personaggio di Tyler fronteggia un esercito di poliziotti all’interno di una palazzina di Dacca. Scena sicuramente efficace, che restituisce la giusta dose di adrenalina allo spettatore.
Peccato però che il film zoppichi un po’ laddove tenti di percorrere una strada alternativa rispetto a quella del film d’azione classico, cercando di dare profondità al protagonista. Il problema è che quando si tenta di abbozzare l’interiorità dilaniata del mercenario – con i riferimenti naturalmente al suo passato doloroso, legato alla perdita del figlio -, Tyler Rake appare decisamente meno incisivo e a tratti pedante nel voler sottolineare fino allo sfinimento la complessità psicologica del personaggio. Una complessità, oltretutto, che rimane molto in superficie e non viene mai veramente affrontata in maniera consona a livello narrativo. E anche lo stesso Chris Hemsworth, non supportato in questo caso specifico dalla sceneggiatura, appare certamente meno a suo agio.